L’estate scorsa, alcune storie provenienti dalla Sicilia hanno fatto tornare d’attualità il tema di un uso più ampio e diversificato del patrimonio artistico, nella fattispecie archeologico, ovvero di un utilizzo che vada al di là del momento contemplativo e conoscitivo del bene/sito, per aprirsi alla realizzazione di eventi spettacolari o creativi di vario genere. In particolare, hanno avuto una grande eco le immagini del Tempio di Segesta, interessato da un’installazione tessile di Silvia Scaringella: senza entrare nel merito dell’opera, sorprende l’arco temporale esageratamente lungo (quasi un anno, fino al giugno 2025) in cui l’aspetto del tempio appare alterato in maniera assai significativa. Possiamo immaginare la faccia di chi percorre distanze talora notevolissime per ammirare le maestose colonne doriche e le trova, in parte, fasciate da tessere colorate. Un risalto ancora maggiore l’hanno avuto la notizia e le immagini del doppio concerto agrigentino de Il Volo, anche perché il pubblico presente è stato tenuto a rispettare il bizzarro obbligo di indossare un abbigliamento invernale in una torrida serata estiva, visto che l’evento sarà trasmesso dalla Rai come concerto natalizio.
Si fa presto a indignarsi: “oh no, Il Volo, non ci piace, non è uno spettacolo degno di un luogo tanto sublime”. Ma la faccenda non può essere naturalmente ridotta a una questione di gusti personali e di patenti di dignità che alcuni vanterebbero e altri no. Ben diversi sono i criteri che dovrebbero guidare il nostro operare in aree ad alta valenza patrimoniale, nel caso di eventi spettacolari come in quello di installazioni artistiche. Innanzitutto, come sempre, il criterio della più rigorosa tutela del bene storico: criterio che, in occasione del concerto dei tre tenorini, non sembra essere stato a pieno rispettato, a giudicare dal video delle pesanti casse trasportate all’interno del Tempio della Concordia, con il grosso rischio di danneggiare le antichissime pietre di scalini e pavimentazione.
Non meno importante un altro punto: occorre pensare, più che in termini di eventi effimeri, a utilizzi che consentano un effettivo reinserimento sociale dell’antico, che riscattino monumenti e siti da una sorta di limbo(molto simile all’oblio) e portino la cittadinanza a vedere di nuovo quei luoghi e a frequentarli. Il riferimento non è tanto a siti molto visitati come i templi di Segesta ed Agrigento, ancora, almeno in parte, circondati da un paesaggio agreste, e che ancora possono beneficiare di un approccio contemplativo, emotivo, romantico; ma piuttosto a quelle testimonianze dell’antichità che sono sì immerse nella società contemporanea, ma solo materialmente e non effettivamente, né affettivamente, calate quindi nel tessuto edilizio moderno che le ingloba e quasi le soffoca, ma di fatto ignorate. Penso ad esempio a tante costruzioni e rovine antiche che si elevano nella città di Roma, all’interno e soprattutto all’esterno del circuito delle Mura Aureliane, su cui ha richiamato l’attenzione l’archeologa Andreina Ricci, in particolare nel pamphlet Attorno alla nuda pietra (2006). Un recupero concreto, ma anche percettivo di questi beni non può passare che attraverso un loro sfaccettato riuso, anche mediante, se è il caso, interventi architettonici, che ne consentano un utilizzo consapevole e condiviso da parte dei cittadini.
Se quanto sin qui esposto vale innanzitutto per antichità che sono state quasi dimenticate, un discorso analogo può essere fatto anche per la superstar dei beni archeologici italiani. Nell’ottica del reinserimento sociale dell’antico non può che essere accolto con favore il progetto della nuova copertura calpestabile dei sotterranei dell’Anfiteatro Flavio, per gli amici la nuova arena del Colosseo. Un progetto lanciato dal ministro Franceschini nel 2014 e che – lentamente, a dire il vero – avanza verso la messa in pratica: la copertura garantirà una migliore tutela del monumento, proteggendone le viscere, ora assurdamente esposte alle intemperie, e consentirà una più completa fruizione e una più agile lettura dell’edificio da parte del pubblico. Non mancheranno gli eventi e i concerti: e se il prezzo da pagare è quello di vedere esibirsi anche lì Il Volo, magari all’interno di un cartellone che preveda anche appuntamenti di tutt’altro genere, è un prezzo che siamo disposti a pagare.
Autore: Fabrizio Federici
Fonte: artribune.com 23 nov 2024