Nel mese di settembre del 1934, un certo Michele Castagna stava eseguendo lavori di dissodamento nella sua vigna sita nel comune di Capestrano, in provincia di L’Aquila nell’Abruzzo; qui, in tempi antichi, era la necropoli della città di Aufinum i cui abitanti erano i Vestini.
Ad un certo momento, un ostacolo impedì alla sua pala di proseguire il suo lavoro: infatti, essa si scontrò con un qualcosa di duro. Egli si adoperò per togliere l’ingombro, giacché non era un ciottolo, magari un piccolo masso erratico, come lui aveva pensato, che gli impediva di procedere, tanto che dovette escavare a lungo, per estrarre, alla fine, una grande quantità di frammenti litici, che egli intuì essere le parti costitutive di un manufatto opera dell’uomo.
Infatti, una volta messi insieme da gente del mestiere, i frammenti divennero una statua che raffigurava un guerriero con una statura più elevata di quella di un individuo normale; la statua è alta 2,09 metri e le spalle sono larghe 1,35 metri; inoltre, essa ha una base di quasi mezzo metro di spessore.
Chi ha vista la statua, e se ne intendeva, ha sentenziato che era un manufatto della produzione dell’arte italica del VI secolo a.C. Questa, costruita in pietra calcarea tenera proveniente da una cava della zona, rappresenta – come già ricordato – un guerriero, come lo dimostrano una spada con fodero ed elsa decorate ed un’ascia (o uno scettro?) strette sul petto, protetto da una corazza di sicurezza; una piccola ascia è tenuta con la mano destra.
Ciò che del suo abbigliamento è curioso è lo strano grande copricapo, che qualcuno ha assimilato ad un sombrero messicano e che copre le orecchie, a forma di disco, del diametro di 65 centimetri, che è costituito da un blocco di pietra, distinta da quella del corpo, con sopra una calotta semisferica con una cresta, parzialmente distrutta. Forse il cappello aveva una funzione rituale o, chissà, era uno scudo protettivo per il capo come qualcuno ha ipotizzato: del resto, sembra che nell’antichità, i militari usassero tenere lo scudo sulla testa (sinceramente, è la prima volta che sento parlare di questo uso).
Il profilo del corpo è quello di una persona normale, anche se si riscontra che i fianchi siano un po’ abbondanti, tanto che qualcuno ha ipotizzato che si tratti di una femmina; ma alla fine, ragionandoci sopra, ci si convinse che era un maschio in tutto e per tutto, un vero e vigoroso guerriero, appunto, con le braccia ripiegate sul petto protetto da una corazza a dischi, come ricordato più sopra.
Da un attento esame, è risultato che probabilmente il reperto era dipinto, poiché si sono trovate tracce in rosso di vernice sulle cinghie, che sorreggono le protezioni del corpo, e in bianco sul volto.
A proposito del volto, non c’è perfetta sintonia fra gli studiosi, perché ci sono quelli che propendono per lineamenti naturali molto stilizzati, mentre altri ritengono che si tratti di una maschera protettiva oppure funeraria.
Il collare rigido che ha al collo non ha una funzione protettiva, bensì semplicemente ornamentale, così come sono ornamentali i bracciali tenuti sugli avambracci. Un riparo in cuoio e lamina metallica, sorretto da un cinturone, protegge l’addome. Gli schinieri riparano le gambe ed i piedi calzano sandali.
Però, la domanda d’obbligo è: chi era costui? A dare una risposta è lo scritto inciso su una delle due colonnine che, poste ai fianchi della statua, la sostengono. Lo scritto, inciso in una sola riga verticale, leggibile dal basso verso l’alto, invece di chiarire quanto richiesto, non ha fatto altro che accendere dispute fra i filologi che si sono intestarditi nel tentativo di comprenderne il contenuto. Alla fine, il tutto è stato appianato quando si è offerta la possibilità di confrontare lo scritto con alcune iscrizioni rinvenute in un ritrovamento avvenuto non lontano dalla città di Teramo, nella località di Penna Sant’Andrea, dal quale risulta che “me bella fece Aminis per il re Nevio Pompuledio”; in tal modo, furono individuati sia il nome del personaggio, il re del popolo dei Vestini, sia quello del suo autore.
Lo scritto, in lingua italica arcaica, è il seguente:
MA KUPRI KORAM OPSUT ANI..S RAKI NEVI PO…M.II.
Secondo il parere espresso nel 2007 dal filologo Alberto Calderini, in merito all’interpretazione del contenuto dello scritto dato dal professor La Regina, il personaggio della statua è il re di cui si è detto, ma Aminis è il committente, non lo scultore dell’opera.
A proposito del re, il risultato della ricerca attuata per “National Geographic” fu che, forse, Nevio Pompuledio e Numa Pompilio, il secondo re di Roma, erano la stessa persona. Del resto non è un’idea del tutto balzana, quando si vada a considerare che Numa Pompilio era di origine sabina e che il suo popolo viveva in un territorio che confinava nella sua parte meridionale con quello dei Ventini, non molto lontano dalla città di Aufinum. Però, ancora oggi, non mancano coloro che non concordano con questa interpretazione.
La figura della statua si inserisce nella cultura artistica picena, come del resto è dimostrato dall’esistenza di altre statue di grandi dimensioni di quel territorio, vale a dire la stele antropomorfa trovata a Guardiagrele e il capo di guerriero scoperto a Numana.
Ma, come sempre, non si cessa mai di studiare e di cercare di approfondire la conoscenza dei reperti archeologici, e le conclusioni sono sorprendenti quando vanno ad inficiare i risultati precedenti, ritenuti validi al cento per cento; come è capitato in questo caso, a proposito del Guerriero di Capestrano, appunto.
Infatti, secondo il giornalista e regista Alessio Consorte si tratta di un “falso storico”. E sono stati tanti altri ad esprimere il loro parere negativo sull’autenticità della statua, tanto che resta aperto il dubbio se si tratti di un simbolo di regalità oppure di un qualcosa che resta misterioso.
A questo punto, non resta altro da fare che aspettare se non si trovi qualcosa che risolva definitivamente il dilemma, e continuare ad apprezzare il reperto come un oggetto storico di somma importanza, secondo un certo punto di vista, oppure ritenerlo fasullo, di nessun valore, secondo un altro.
La statua è conservata nel Museo archeologico Nazionale d’Abruzzo nella Villa Comunale di Chieti. Una sua riproduzione a grandezza naturale è posta nell’atrio del Castello Piccolomini di Capestrano.
Autore:
Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it