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Mario Zaniboni. Ercole di Venafro. Il riposo del guerriero.

venafro

Nel museo di Chieti è da tanto tempo esposta una statuetta di bronzo che raffigura il semidio Ercole; Venafro, comune di Isernia in Molise, è il luogo dove forse è stato rinvenuto, però non si sa esattamente né quando né dove, nè chiede la restituzione.
Secondo la tradizione orale è stato rinvenuto un po’ a monte delle abitazioni, grosso modo fra il teatro romano ed il duomo. È, se si trova in quel museo, non è stato a seguito di una un’appropriazione indebita da parte sua; infatti la statuetta, insieme con altri reperti, fu affidata provvisoriamente allo stesso, in attesa che Venafro avesse il luogo giusto dove esporla; ebbene, Venafro, che finalmente se l’è creato, ha già avuta la restituzione di altri pezzi (una Venere e le statue di Tiberio e Cesare) e spera che anche Ercole possa assommarsi agli stessi.
Secondo la mitologia, Ercole era un semidio, famoso per le sue dodici “fatiche”, e la statuetta ricorda quella che aveva come tema la soppressione del feroce leone Nemeo, ritenuto un animale invulnerabile, con una pelle durissima, del tutto imperforabile, a prova di ogni arma da punta, inviato contro Ercole dalla dea Era. Il leone, quando giunse a Nemea nell’Argolide, prese dimora in un grotta dotata di due uscite, e iniziò a uccidere uomini in quantità. Ercole si mise alla sua caccia, seguendo il suo percorso assassino, finché lo incontrò. Per prima cosa, tentò di ucciderlo con il lancio di frecce, che non lo scalfirono nemmeno, e altrettanto avvenne con l’uso della spada. Allora egli ricorse alle armi che la natura gli aveva donato, cioè alle braccia e alle mani; gli riuscì di bloccarlo strettamente con gli arti superiori, riuscendo alla fine a soffocarlo. Con i denti lo scuoiò, per fare con la pelle di Nemeo la sua invulnerabile corazza o armatura che dir si voglia.
Nella mitologia, sia greca sia romana, Ercole è sempre stato rappresentato con un clava tenuta con la mano destra e con la pelle del leone (detta leonté) sull’avambraccio sinistro.
Nella statuetta trovata, egli è in piedi, completamente nudo, con un fisico da atleta, muscoloso negli arti e nel petto e con glutei vigorosi, in un posizione che sembra di riposo, né di offesa né di difesa, appoggiando il peso del corpo sulla gamba destra. I capelli, belli e abbondanti, sono tenuti a posto da una fascia. La mano destra manca e si presume che questa tenesse una clava, pure mancante; e anche dall’altra mano manca qualcosa, ma solamente le ipotesi possono dare un’idea di cosa fosse. La statuetta è su una base cubica, nella quale è inciso un’epigrafe che forse rappresenta la parte più interessante e importante del reperto archeologico; si tratta di uno scritto che è nettissimo, ma che ha creato problemi pressoché insolubili a coloro che hanno tentato di capirci qualcosa.
Di seguito si riportano le tre brevi righe dello scritto, affidandolo, magari, a qualcuno che desideri provare a trovare il bandolo della matassa. Comunque almeno questo è stato chiarito: sembra sia in lingua osca, parlata dagli Osci, che erano un miscuglio variegato di popoli europei.
Ecco l’epigrafe:

nùviiui upsiiùi
pr miìnatùi ùht
herek ùi brate

La scrittura non è per nulla raffinata, tutt’altro, e probabilmente incisa dopo, a fusione avvenuta, consolidata e raffreddata.
Comunque, la statuetta di Ercole è un magnifico reperto archeologico, degno di essere esposto al pubblico, che ne può ammirare le forme e la serafica tranquillità del momento di riposo.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

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