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Mario Zaniboni. Coppa di Wurburg. Immortalato un atto di vomito.

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Il romano Agostino Feoli aveva una tenuta a Campomorto presso Vulci, un’antica città etrusca, ora in provincia di Viterbo. Egli era amante degli oggetti antichi e del suo possesso e, pertanto, organizzò degli scavi, da effettuare nei suoi terreni, che furono eseguiti in due periodi successivi: i primi furono affrontati dal 1839 al 1841 e gli altri dal 1846 al 1847.
Il latifondista apparteneva ad una famiglia ricca, per cui, contrariamente a quanto facevano tanti altri proprietari di terreni della zona, che vendevano tutto quanto di interessante proveniva dagli scavi, dei suoi reperti fece una collezione personale veramente prestigiosa. Oggi, quella collezione fa parte del Martin Von Wagner Museum di Würzburg; però, il tutto è stato mantenuto con il suo vecchio nome di “Collezione Feoli”, in suo onore.
Fra i tantissimi oggetti trovati e facenti parte della collezione era pure una interessantissima coppa, che fu battezzata come “Coppa di Würzburg di Brygos” (Würzburger Brygosschale); è un kylix, cioè un contenitore attico, appartenente alle serie delle figure rosse su fondo nero, che serviva per bere vino, costruito in ceramica verso il 480 a.C.
La forma è come quella di una ciotola con piede e munita di due manici da utilizzare per bere usando entrambe le mani. La sua altezza è di 14 cm, mentre il diametro è di 32,2 cm.
L’autore fu il ceramista Brygos e il decoratore il ceramografo che è passato alla storia come il pittore di Brygos: resta sempre il dubbio se i due artisti siano stati la stessa persona. Non ci sono dubbi, invece, sulla paternità della coppa, giacché all’interno di uno dei suoi manici si è scoperta la scritta ΒΡΥΓΟΣ ΕΠΟΙΕΣΕΝ (Brygos fece questo); la firma fu trovata anche in altre quattro coppe.
John Breazely confermò che la coppa era stata veramente prodotta da lui e dipinta da colui che fu chiamato pittore di Brygos, aggiungendo che Brygos fu un ceramista di grande abilità artistica. Del resto, gli studiosi sono d’accordo ritenendo l’artista, allievo del maestro Onesimo, fra i migliori di quelli che produssero ceramica attica a figure rosse. Di suo si sono trovati tanti manufatti, di varie forme: kantharoi, lekythoi, skyphoi e rhyta; inoltre, non mancarono alcuni vasi decorati a fondo bianco, tutti, però, senza firma. La raccolta è costituita da non meno di 200 manufatti ritrovati, mentre resta la speranza di trovarne ancora in futuro.
Che fosse un vero maestro in quest’arte lo confermano le notizie in merito a diversi produttori di oggetti in ceramica che hanno abbracciato l’arte della ceramica seguendo le sue orme.
La scena dipinta nel tondo riporta la figura di un giovane, probabilmente alticcio dopo abbondanti libagioni durante un simposio, che si sostiene con un bastone da passeggio, nell’atto, poco simpatico, di vomitare abbondantemente, mentre il suo capo è sostenuto da una bionda hetaira, donna “tuttofare” durante i simposi, dai quali mogli e figlie erano escluse. Entrambi hanno ghirlande sul capo.
All’esterno è una processione di giovani poco vestiti: da una parte, si trova un suonatore di barbiton (strumento a corde simile alla lira) e dall’altra è un suonatore di aulòs (una specie di flauto, solitamente munito di due tubi).
Non si tratta di una rarità, giacché è uno degli oggetti maggiormente in circolazione in quel periodo, vale a dire dal VI al IV secolo a.C.
La coppa, che fu costruita con somma perizia, mostra al pubblico le caratteristiche che l’hanno resa famosa nel mondo, a testimoniare l’abilità e la capacità artistica dei nostri antichi progenitori dell’arcaica Etruria.

Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it

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