Il villaggio di Vix è un piccolo centro abitato della Borgogna, situato a pochi chilometri da Châtillon sur Seine nella Côte d’Or, ai piedi dell’isolato monte Lassois, una collina piatta che si alza sulle vie che collegano la capitale francese al bacino del Rodano attraverso le valli della Senna e della Saona.
Vix fu un oppidum, cioè un insediamento fortificato, con popolazione formata da Galli e Romani, che perse la sua importanza quando fu superato da un’altra città. E, come tale, fu al centro degli interessi degli archeologi. Infatti, nel 1953, Vix fu soggetto ad una successione interessante di scavi ed i risultati furono soddisfacenti dato che sfociarono nel ritrovamento di tantissimi reperti ceramici, in ambra e corallo, che dimostrano un’attività vivace ed intensi e vasti rapporti commerciali.
Del resto, risulta che fra il VI e il V secolo a.C. Vix sia stato un fiorente punto d’incontro commerciale per la sua posizione stategica sul navigabile fiume Senna che, dopo aver attraversata la Francia da ovest a est, immetteva sulle strade che consentivano il collegamento del Mediterraneo con l’intera Europa del nord e con l’Italia.
Si racconta che, durante il pomeriggio della vigilia dell’Epifania, il responsabile dei lavori di scavo iniziati l’ultimo dell’anno, Maurice Moisson, avesse notato che in un certo punto la superficie del suolo era leggermente sopra elevata di una buona spanna ed in sua corrispondenza era concentrato un accumulo di pietrame; pertanto, era suo parere che sarebbe stato interessante approfondire la conoscenza di quella discontinuità e comunicò questa osservazione all’archeologo René Joffroy.
E per la verità, risalendo indietro nel tempo, si ritenne che molto probabilmente in precedenza ci fosse un tumulo in pietra a secco del diametro di almeno una quarantina di metri che forse esisteva ancora ai tempi dell’impero romano, ma che poi con le coltivazioni si abbassò sempre di più, lasciando quel piccolo rialzo che incuriosì Moisson.
Così, Jofroy fece fare sondaggi ed inizialmente i risultati furono insoddisfacenti, perché già alla profondità di un metro e 80 centimetri nulla di interessante era stato trovato, finché verso sera, qualche giorno dopo l’inizio del lavoro di scavo, comparve un pezzo di bronzo, che fu estratto il giorno successivo, e si riscontrò che si trattava dell’ansa di un grande cratere; insieme, vennero alla luce una patera (bassa scodella) e frammenti di ceramica. Resosi conto che i reperti erano di somma importanza archeologica, furono informati il direttore della Circoscrizione delle Antichità Preistoriche del Centro Nazionale delle Ricerche Scientifiche (CNRS) Paul Vernert e l’ispettore dei musei della provincia Guy Gaudron, in attesa dell’intervento dei quali si sospesero gli scavi.
Sotto la sorveglianza delle autorità, i lavoratori, galvanizzati dalla scoperta, continuarono gli scavi in gennaio e febbraio ed alla fine ebbero la soddisfazione di trovare, escavata nel terreno alluvionale, una cripta sepolcrale cubica di alcuni metri di spigolo con le pareti ed il tetto rivestiti di legno, come si evidenziò dal materiale che si era ammassato sul fondo (terreno, legname marcito e macerie), in quanto il peso, aiutato dall’umidità e dal tempo, aveva fatto crollare il tutto.
La tomba, che si ritiene sia del periodo di Hallstatt (cultura dell’Europa centrale dell’età del bronzo e degli inizi dell’età del ferro, riscontrata in Hallstatt, appunto, località situata presso Salisburgo in Austria e datata fra il 1200 e il 500 a.C.) per i corredi funerari trovati (essendo tutti presenti, giacché la tomba non era stata mai profanata) era di una bellezza eccezionale, tanto che il definirla principesca è sicuramente riduttivo; invero, si è dell’avviso che possa considerarsi la più ricca fra quelle della stessa epoca rinvenute in Francia.
Al centro della tomba i resti di una cassa appoggiata sul pianale di un piccolo carro da parata, di cui furono trovate le quattro ruote a dieci raggi del diametro di 75 centimetri appoggiate in piedi ad una parete ed i ferri che lo tenevano insieme. Qui era lo scheletro di un corpo alto un metro e 60 centimetri, che, per la presenza di gioielli al collo, ai polsi e alle caviglie, si ritenne di una persona femminile, tanto che si giunse alla conclusione che si trattasse di una principessa celtica, forse sui 35 anni, che fu tumulata fra il 540 e il 530 a.C.; qualcuno è del parere che la data della tumulazione sia posteriore, attorno al 480 a.C.
Fra i gioielli, la parte del leone era rappresentata da un diadema d’oro a 24 carati del peso di 480 grammi, stupendamente lavorato con cavalli Pegaso alle estremità, che la donna portava al collo. Inoltre furono recuperati tantissimi oggetti di alto valore archeologico: infatti non mancavano coppe, vasi, brocche.
Dunque, un sepolcro di grande ricchezza la cui presenza può essere giustificata ritenendo che la zona fosse non solo un punto di passaggio, ma pure un mercato di un certo livello, dove si incontravano i prodotti dell’Europa da una parte e quelli italiani e greci dall’altra.
Ma, fra i vari reperti recuperati dal corredo funerario, uno in particolare attirò l’attenzione e l’ammirazione di coloro che partecipavano agli scavi. E’, questo, un cratere in bronzo, dalle dimensioni colossali, avendo un’altezza di 1,64 metri, un diametro di 1,27 metri ed un peso di 208.6 chilogrammi; il corpo del cratere, tolte tutte le sovrastrutture, da solo pesa 80 chilogrammi, mentre la sua capacità volumetrica è di 1.100 litri. E’ stato prodotto con certezza nella Magna Gecia.
La scoperta del calderone fece molto scalpore, tanto che il giorno 12 gennaio sul quotidiano Le Monde apparve la notizia che nella zona di Mont Lassois era stato trovato un vaso del valore artistico eccezionale. E, terminati i lavori di scavo il 13 febbraio, Joffroy inviò la relazione su quanto era stato fatto all’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres di Parigi, con il rinvenomento di una tomba con un carro apartenente alla cultura Halstatt.
Però, come ricordato più sopra, il tetto della tomba aveva ceduto sotto il peso del terreno sovrastante e schiacciato il corpo del cratere che pertanto fu così che fu trovato, mentre integre erano rimaste tutte le parti che ne costituivano l’ornamentazione ed il corredo: del resto, essendo queste di bronzo fuso, non potevano essere schiacciate, ma al massimo spezzate.
Per riportare il corpo alla bellezza originaria, fu sottoposto al restauro attento e consapevole di chi sapeva dove e come mettere le mani. Logicamente, grande quant’è, la sua realizzazione non poteva avvenire in un pezzo unico: infatti, risultò dall’assemblaggio di diversi pezzi, di cui una parte (piede, anse, fregio che adorna il collo, statuetta che costituisce il manico del coperchio) in bronzo fuso ed il resto (corpo e coperchio), dello spessore da 1 a 3 millimetri, in bronzo martellato il cui rame è puro; questa precisazione per dire che, per ragioni tecniche, la martellatura richiede un materiale di qualità superiore.
Il corpo del cratere, in bronzo martellato, si ribadisce, è formato dall’insieme di diversi pezzi in lamine dello spessore da 1 a 3 millimetri e tecnicamente è da ritenere perfettamente eseguito. Il fondo arrotondato del cratere poggia su un piede in bronzo fuso del peso di 20,2 chilogrammi e del diametro di 74 centimetri, di forma adeguata per riceverlo ed è ornato di fregi. Le anse, pure in bronzo fuso del peso di 47 chilogrammi ciascuna e alte 55 centimetri, sono a forma di volute, decorate da leoni rampanti e da “gorgoni”, mostri mitologici aventi serpenti per capelli e lo sguardo pietrificante.
Il cerchio attorno al collo, al quale sono fissate le anse, porta rappresentate in bassorilievo otto quadrighe guidate da aurighi con elmo, dietro le quali sono opliti, guerrieri armati pesantemente, con grandi scudi rotondi. Da notare come si sia rispettata l’altezza delle teste degli uomini, risultato ottenuto con aurighi più bassi. Il coperchio, del peso di 13,8 chilogrammi, è concavo, munito di parecchi fori, facendolo essere contemporaneamente collo e filtro per il liquido che viene versato nel cratere. Al suo centro, una statuetta fusa, alta 19 centimetri, che funge da pomolo, è a forma di donna a testa velata, con peplo; le braccia sono protese in avanti, nell’atto, forse, di voler offrire ciò che nel cratere è contenuto.
Oggi, il cratere è conservato nel Musée du Châtillonnais a Châtillon-sur-Seine, dove i visitatori possono ammirarlo in tutta la sua bellezza e nelle sue eccezionali dimensioni.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it