Per ceramica etrusca argentata (detta anche volsiniese) s’intende una classe di vasi prodotti in età ellenistica (fine IV – III secolo a.C.) decorati a rilievo e rivestiti da una pellicola/patina bianco grigiastra ad imitazione dell’argento. Si tratta di una produzione a basso costo di forme metalliche, un surrogato dei preziosi vasi metallici.
Le analisi hanno evidenziato che sulla superficie dei vasi della specie veniva applicato lo stagno in lamine (foglie) mediante collanti o immergendo il reperto nello stagno fuso (stagnatura a caldo). Entrambe le soluzioni sono documentate. Peraltro secondo esperimenti condotti dal Departement of Classical Studies dell’Università di Lund l’effetto originario del procedimento della stagnatura a caldo doveva essere quello di ottenere una superficie color oro piuttosto che argento.
Tale ceramica risulta essere stata prodotta principalmente nel volsiniese (Orvieto e Bolsena) ma anche nel falisco (Falerii, Corchiano, Vignanello) ed in misura minore a Volterra. Una certa presenza di ceramica argentata è stata registrata nel territorio tarquiniese, nell’agro vulcente ed in quello chiusino, probabilmente importata dai distretti falisco e volsiniese.
La ceramica argentata consiste per lo più di forme vascolari, di grandi e piccole dimensioni, relative alla sfera del banchetto ed al consumo del vino (prevalentemente crateri, anfore, situle, oinochai, patere, colini, askoi) e di solito le decorazioni, che talvolta presentano applicazioni plastiche (il più ricco repertorio si ritrova nella produzione volsiniese), hanno ad oggetto scene e personaggi mitologici (amazzonomachie ed episodi legati ad Eracle, Teseo, Perseo, Achille).
Nella grande maggioranza dei casi i reperti della specie – quasi tutti rinvenuti in contesti tombali – risultano privi di caratteristiche necessarie per l’utilizzo durante la vita reale (anfore senza fondo, colini con fori non passanti, situle prive di orifizio, fragilità dei vasi, etc …); i manufatti quindi prevalentemente avrebbero avuto una funzione esclusivamente (simbolico) funeraria con riferimento ai banchetti nella vita ultraterrena. Alcuni esemplari, prima della loro destinazione funeraria, potrebbero anche essere stati usati come arredi di abitazioni, come sembrerebbe attestato da seppur rari rinvenimenti in contesti urbani (es. frammenti di ceramica argentata rinvenuti a Bolsena presso l’Anfiteatro e a Poggio Moscini). Anche l’utilizzo della ceramica in oggetto in contesti votivi risulta piuttosto raro (es. stipe votiva del Carraccio a Vulci).
I corredi tombali che hanno restituito ceramica argentata sembrano connotare famiglie aristocratiche (in particolare nell’area volsiniese e nel volterrano) e gentes appartenenti al ceto medio e medio alto (prevalentemente nel territorio falisco).
Per completezza si precisa che con la stessa tecnica sopra specificata venivano realizzate anche appliques decorative per mobili e cassoni lignei per inumati.
Sulla ceramica etrusca argentata cfr., tra gli altri:
– Giulia Dionisio, La ceramica argentata volsiniese nei musei dell’Etruria: progettazione di un museo interattivo, 2016, MUSINT II: Nuove esperienze di ricerca e didattica nella museologia interattiva;
– Laura Maria Michetti, Le ceramiche argentate e a rilievo in Etruria nella prima età ellenistica, Giorgio Bretschneider, 2003, Accademia Nazionale dei Lincei Monumenti Antichi, Serie Miscellanea Vol VIII;
– Maria Stella Pacetti, Vasi argentati in Da Orvieto a Bolsena: un percorso tra Etruschi e Romani, Pacini editori, 2013, pagg 334 e ss.
Autore: Michele Zazzi – etruscans59@gmail.com