Durante gli scavi eseguiti nel 1850 nel sito storico-archeologico della città di Ninive in Iraq, una delle antiche città situate sulla riva sinistra del fiume Eufrate, ricca di insediamenti prestigiosi, resa più grande ed abbellita dal re assiro Assurbanipal nel VII secolo a.C., l’archeologo Henry Layard trovò circa ventimila tavolette in argilla con incisioni a caratteri cuneiformi; erano fra ciò che rimaneva della disastrata biblioteca sotterranea del 19 a.C.
Tra queste una risultò di particolarmente interessante, ma nello stesso tempo lasciò per parecchi anni il tempo che trovava per quanto riguardava l’interpretazione del contenuto. Inizialmente si riteneva che fosse assira, facendo riferimento a costellazioni visibili in Mesopotamia nel 3300 a.C. Ma l’approfondimento sullo scritto dimostrò che la datazione non era quella giusta, bensì molto più antica, e si giunse alla convinzione che la rappresentazione si riferisse alla combinazione congiunturale relativa al periodo sumerico. I Sumeri erano un’etnia di grande civiltà, stanziata in Mesopotamia (corrispondente all’Iraq del sud est di oggi) fra il IV e il III millennio a.C.; a loro è attribuita l’invenzione della scrittura.
La tavoletta rinvenuta è un ‘astrolabio’, cioè uno strumento che consente di individuare la posizione delle stelle e del sole in qualsiasi momento in funzione della latitudine, storicamente forse il primo strumento di natura astronomica dovuto alle grandi conoscenze delle civiltà più antiche. Non si tratta di uno strumento paragonabile a quelli moderni, però si tratta di una mappa stellare segmentata, chiara e ben particolareggiata, incisa su una faccia. E il soffermarsi a ragionare su quanto qualcuno, più di 5.000 anni fa, sia riuscito a inserire in così poco spazio l’immagine del cielo in un planisfero, lascia veramente perplessi non solo la gente normale, ma soprattutto l’intera comunità degli archeologi. L’altra faccia non reca incisioni.
La sua forma è discoidale, con un diametro di circa 14 centimetri e sul contorno porta incise unità di misura angolari. Purtroppo, quasi la metà di quanto riportava non è giunto fino a noi, essendo probabilmente andato perduto durante l’assedio di Ninive fatto dai Medi e dai Babilonesi nel 612 a.C.
Tuttavia, la parte restante risulta ben leggibile, dimostrando che i Sumeri avevano profonde conoscenze astronomiche.
Però, pur essendo stata attentamente studiata da studiosi di vaglia, solamente nel 2008 si è pervenuti alla traduzione e interpretazione definitive dello scritto, svelando ciò che accadde quando un asteroide si abbatté, a una velocità altissima, sulle Alpi Austriache presso la località Köfels; un evento del quale si sa che è avvenuto, più di 5.000 anni fa, da quanto è riportato sulla tavoletta. Insomma, mistero su mistero, che non toglie i dubbi che tormentano gli studiosi.
Di tutto questo si parla nell’opera “A Sumerian Observation of the Kofels’ Impact Event” (Un’Osservazione Sumera dell’Evento di Impatto di Köfel) dei due ingegneri Alan Bond e Mark Hempsell che, naturalmente ha sollevato discussioni nei gruppi archeologici, in merito alla caduta di un oggetto proveniente dal cosmo. Essi hanno studiato a fondo la tavoletta e per loro non ci sono dubbi: ciò che in essa è riportato e documentato fa riferimento a un evento che è riferibile a Köfels località delle Alpi Austriache. In effetti, coloro che hanno tradotto i caratteri cuneiformi della tavoletta, fanno riferimento a quanto accadde nel 5600 a.C., cioè a quando un corpo celeste, del diametro di circa un chilometro e mezzo, cadde sulla Terra; e la mappa astrale riporta la data dell’evento, il 29 giugno 3123 a.C. (calendario giuliano, che era basato sul ciclo delle stagioni elaborato dall’astronomo greco Sosigene di Alessandria, il cui nome deriva da Giulio Cesare che, in qualità di pontefice massimo, lo promulgò nel 49 a.C.; nel 1582 fu poi sostituito dal calendario gregoriano attraverso una bolla del pontefice Gregorio XIII).
L’impatto fu terribile e devastante, e tale da estinguere alcune civiltà. Le immagini, che raccontano come si sia sviluppata la faccenda sulla tavoletta, sono otto. Le prime cinque raccontano ciò che avvenne nei giorni precedenti l’impatto, con l’oggetto proveniente dallo spazio in avvicinamento fino al giorno del suo avvenimento; ci sono le costellazioni note e le misurazioni trigonometriche sono da ritenere perfette. La sesta e la settima immagine raccontano come sia avvenuto lo scontro con la superficie terrestre. L’osservatore, a distanza di sicurezza, racconta del lampo che all’improvviso illuminò il cielo, seguito da nuvole di cenere e polvere sollevata dalla collisione. Infine, l’ottava descrive il calcolo che ha accompagnato il volo. Praticamente, su una tavoletta di argilla di 14 centimetri di diametro è raccontata una enorme tragedia avvenuta più di 5.200 anni fa.
Ora, però, i dubbi sono tanti e grandi, perché a Köfels, come ci si aspetterebbe, non c’è nessun cratere. Già, ma perché non c’è un cratere? Gli studiosi hanno cercato di giustificare tale fatto. Infatti, invece di un cratere, come ci si aspetterebbe, c’è un’enorme frana dello spessore di mezzo chilometro e del diametro di cinque chilometri, studiata alla fine del XIX secolo e successivamente verso la metà del secolo XX: questi hanno portato alla conclusione che di seguito si riporta.
Sicuramente c’è stato un brusco contatto dovuto a un oggetto proveniente dallo spazio. La presenza di una frana al posto di un cratere, come dovrebbe essere, è stata interpretata dagli studiosi nel modo con cui l’impatto è avvenuto. Essi hanno tenuto conto della traiettoria seguita dal corpo celeste per giungere sulla Terra. Si è riscontrato che l’angolo di ingresso dell’asteroide doveva essere molto basso (attorno ai 6 gradi), per cui non di scontro diretto si trattò, bensì di un’azione di taglio sul massiccio del monte Gamskogel, nei pressi della città di Längenfeld, a pochi chilometri da Köfels. A questo contatto, il corpo esplose e rotolò nella valle come un enorme palla di fuoco del diametro di 5 chilometri. La roccia con la quale è venuto a contatto per attrito si è polverizzata ed ha subito le conseguenze del surriscaldamento, come si nota nella presenza di roccia fusa: il tutto fu dovuto a pressioni ed esplosioni spropositatamente elevate. Non si deve dimenticare, tuttavia, che fino a oggi è noto che la roccia fusa può essere il risultato di attività vulcanica oppure di un impatto di corpi celesti sul suolo terrestre; ma, se si accetta la teoria dell’angolo di contatto fra Terra e asteroide molto basso, un pensiero al surriscaldamento per attrito non è del tutto scartabile.
Non c’è dubbio che nella comunità scientifica non tutti sono d’accordo e che le varianti pensate e proposte siano tante e diverse fra di loro.
Fra l’altro, per giungere alla conclusione di questa nota, è opportuno rivedere un punto interessante che fomenta i dubbi, lasciando ancora di più ingarbugliate le idee. Eh sì, perché si sono fatte analisi al radiocarbonio su campioni delle rocce fuse prelevate dalla frana e il risultato, invece di confermare la datazione fatta con esattezza al 29 giugno 3123 a.C., parlano di un avvenimento avvenuto all’incirca 9.800 anni fa, cioè quattro millenni prima della nascita della tavoletta.
Quindi, è possibile che Alan Bond e Mark Hempsell abbiano sbagliato? Nel qual caso non sono soli, essendo una buona parte degli studiosi favorevoli alla loro teoria. Del resto, le analisi al radiocarbonio non dovrebbero lasciare dubbi, o no? A meno che non ci siano stati problemi legati alla scelta dei campioni di roccia, che hanno portato le analisi fuori strada, dando risultati non accettabili. Fra gli studiosi sembra che circoli pure l’ipotesi che i Sumeri fossero a conoscenza di ciò che era avvenuto tanti anni prima, ma che solamente nel 3123 a.C. sia stato riportato sulla tavoletta da un astronomo che, in quel caso, non sarebbe sato un osservatore diretto.
Comunque, tutta quanta la faccenda non è stata abbandonata: si continua a ragionare sulla mappa sumera e sull’evento di Köfels, sperando che finalmente sia scoperto ciò che potrebbe mettere tutti d’accordo.
La tavoletta, che sembra non essere l’originale, bensì una copia antica di quella eseguita da un osservatore astronomo contemporaneo (oppure no?) all’evento di cui si è detto, si trova al British Museum di Londra, a disposizione di chi voglia cimentarsi a capire fino in fondo ciò che vuole comunicare.
E questo è il bello delle ricerche, cioè che sono il sale della vita e stimolano a raggiungere risultati che, talora, si rilevano impensabili e sorprendenti.
Autore: Mario Zaniboni – zamar.22blu@libero.it