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PAKISTAN. Missione Italiana scopre uno tra i più antichi templi buddhisti del Gandhara.

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Missione Italiana in Pakistan scopre uno tra i più antichi templi buddhisti del Gandhara. Risale al II sec. a.C e si trova nell’antica città di Barikot in Pakistan. La scoperta di uno dei più antichi templi buddhisti al mondo nell’antica città di Barikot, nella regione dello Swat, è il frutto dell’ultima campagna di scavo della missione italiana in Pakistan.
La datazione si attesta intorno alla seconda metà del II secolo a.C., ma probabilmente risale ad età più antica, al periodo Maurya, dunque III secolo a.C., ma solo le datazioni al radiocarbonio (C14) ce ne daranno certezza. La scoperta getta una nuova luce sulle forme del buddhismo antico e la sua espansione nell’antico Gandhara e aggiunge un nuovo tassello a ciò che si conosce sull’antica città.
Direttore di quella che è la più antica missione archeologica italiana attiva in Asia è da diversi anni il professor Luca Maria Olivieri dell’Università Ca’ Foscari Venezia (Dipartimento di Studi sull’Asia e sull’Africa Mediterranea). La missione fondata nel 1955 da Giuseppe Tucci è gestita dal 2021 anche dall’Ateneo veneziano in collaborazione con l’ISMEO (Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente), con il co-finanziamento del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in collaborazione con il dipartimento provinciale pakistano di archeologia (DOAM KP) e con il locale Swat Museum.
“La scoperta di un grande monumento religioso fondato in età indo-greca rimanda senz’altro ad un grande ed antico centro di culto e di pellegrinaggio”, ha spiegato Olivieri, evidenziando che “lo Swat è terra sacra del Buddhismo già in età indogreca”.
Barikot è nota nelle fonti greche e latine come una delle città assediate da Alessandro Magno, l’antica Bazira o Vajrasthana.
Le stratigrafie scavate dalla Missione, datate col radiocarbonio, dimostrano l’esistenza della città ai tempi della spedizione di Alessandro Magno intorno al 327 a.C. (https://doi.org/10.1016/j.nimb.2019.05.065). Si tratta di una città importante che gestiva tutto il surplus agricolo produttivo della valle dello Swat. La valle è speciale tra quelle del Karakorum-Hindukush perché gode di un microclima che permette di avere due raccolti dallo stesso terreno durante l’anno, grano o riso, uno in primavera e uno alla fine dell’estate. Barikot era dunque una sorta di “città-granaio” di cui anche Alessandro Magno si servì prima di proseguire il suo percorso verso l’India. Curzio Rufo la descrive come urbs opulenta nelle sue Historiae Alexandri Magni per definirne la ricchezza agricola.
Il sito è impressionante, una valle verdissima in una sorta di pianoro di montagna a circa 80O mt. di altezza con sullo sfondo le montagne dell’Hindukush e con una storia che va dall’età del Bronzo fino alla fine del Medioevo.
Barikot fu occupata ininterrottamente dalla protostoria (1700 a.C.) al periodo medievale (XVI secolo), con oltre 10metri di stratigrafia archeologica. Proprio verso la fine della campagna di scavo del 2021, nel mese di ottobre, dopo aver completato lo scavo dell’acropoli della città, gli archeologi della Missione decidono di spostarsi ed esplorare un’area al centro della città antica che era già stata oggetto di razzie clandestine evidenziate da ampie buche, in un terreno recentemente acquisito dalle autorità pakistane.
E qui la sorpresa. A poco a poco si rivela un interessante monumento buddhista, preservato, nonostante i ripetuti vandalismi, di oltre tre metri di altezza.
Si tratta di un edificio dalla forma particolare: un podio absidato sul quale si erge una cella cilindrica, con all’interno uno stupa. Si tratta chiaramente un’architettura legata ad un contesto buddhista. Ai lati del monumento ci sono uno stupa minore, una cella e il podio di un pilastro monumentale. La scala che conduce alla cella è stata ricostruita in tre fasi, la più recente risalente al III secolo d.C., coeva ad una serie di stanze in forma di pronao che conducevano ad un ingresso che si apriva su un cortile pubblico affacciato su un’antica strada. La scala più antica recava ancora in situ un’iscrizione dedicatoria in Kharoshti, paleograficamente del I sec. d.C., metà della quale è stata trovata rovesciata e riutilizzata nel piano tardo di cui sopra. Sono state inoltre ritrovate delle monete negli strati inferiori e insieme a molte iscrizioni su ceramica in kharoshti. Il monumento fu abbandonato quando, ai primi del IV secolo, la città bassa fu distrutta da un disastroso terremoto.
Sotto il monumento gli archeologi hanno trovato un monumento più antico fiancheggiato da un piccolo stupa di tipo arcaico, la cui datazione va indietro al periodo indo-greco, 150 a.C., periodo in cui regnava il re indogreco, Menandro I o i suoi immediati successori. Menandro secondo la tradizione buddhista indiana si sarebbe convertito al buddhismo. Ma le sorprese non erano terminate. A pochi giorni dalla fine dello scavo, nel mese di dicembre, si è visto che parti del monumento indo-greco erano infatti costruite su strutture ancora più antiche i cui livelli hanno rivelato materiali ceramici che a Barikot sono caratteristici delle fasi datate al III secolo a.C.
La cronologia sarà confermata dalle analisi radiocarboniche (C14) che saranno molto precise visto che durante gli scavi sono stati fatti flottare più di 10.000 lt di terreno e sono stati ottenuti 58 contenitori di campioni di semi carbonizzati. Alla fine dello scavo nel dicembre del 2021 sono stati documentati e inventariati 2109 oggetti. Vasellame, monete, iscrizioni, sculture in pietra e stucco, oggetti in terracotta, sigilli e monili sono stati consegnati al nuovo Swat Museum, con sede nella capitale Saidu Sharif, interamente ricostruito dalla Missione archeologica italiana dopo l’attentato del 2008.
Allo scavo di quest’anno hanno partecipato la dr. Elisa Iori (Max-Weber Kolleg, Universität Erfurt) vice-direttrice della Missione, e il dr. Michele Minardi (Università ‘L’Orientale’ di Napoli).
Lo scavo della Missione di quest’anno ha portato interamente alla luce un tempio Shahi dedicato a Vishnu che misura nella sua interezza 21 metri x 14. Datato al radiocarbonio al 700 d.C. e demolito sotto i Ghaznavidi dopo il 1000 d.C., il tempio conserva solo il podio (conservato per circa 2 metri di altezza), i relativi pavimenti, parte cospicua della decorazione a lesene con capitelli pseudo-ionici, notevoli esempi della decorazione in stucco e frammenti dei gruppi scultorei in marmo del periodo Turki Shahi.
È stata inoltre messa in luce l’acropoli tardoantica, mentre alla base di questa è stata anche scoperta una piccola necropoli di età storica scavata in collaborazione con Massimo Vidale dell’Università di Padova (anche qui si attendono i dati radiocarbonici).
Un ulteriore ritrovamento sempre a Barikot è legato anche alla scoperta di una delle antiche vie cittadine che dalla porta urbica cinta scoperta quest’anno lungo la cinta muraria indo-greca, risaliva verso il centro della città. Il tempio absidato trovato quest’anno ed altri due santuari buddhisti rinvenuti negli anni scorsi si affacciavano sui due lati di questa via. Questa ultima scoperta potrebbe essere la prova dell’esistenza di una vera e propria via dei templi lungo l’asse viario che dal settore periferico delle mura risaliva verso l’acropoli.
Lo scavo ricomincerà nel febbraio del 2022, le concessioni sono state già ottenute, nella zona a nord del monumento absidato per cercare la strada che costeggiava l’abitato ed una serie di strutture templari di importanza probabilmente maggiore a quelle già messe in luce.
Da nominare anche un importante progetto collaterale allo scavo, anche questo diretto da Luca Maria Olivieri. Il progetto si occupa del paleoclima dello Swat in età tardo-antica (sul problema della cosiddetta LALIA o Late Ancient Little Ice Age) “Late Antique Swat Ecology and Resilience: Climate and Habitat in Interfacial periods” ed è svolto insieme a Dario Battistel (Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica).
Il progetto biennale finanziato nel quadro dei progetti SPIN 2021 di Ca’ Foscari, vede anche la collaborazione di Nicola Di Cosmo (Princeton University), Ulf Büntgen (Cambridge University), Federico Squarcini (Dipartimento di Studi sull’Asia e l’Africa Mediterranea) e Elisa Iori (Max-Weber Kolleg, Universität Erfurt). Tra i progetti della Missione già in corso con Ca’ Foscari, vanno ricordati il progetto “Ellenismo e India. Tecnologie della pietra e dei cantieri nel Gandhara: Saidu Sharif I” diretto da Luca M. Olivieri, che ha prodotto una monografia che è in corso di stampa con Edizioni Ca’ Foscari nella nuova serie Marco Polo diretta da Sabrina Rastelli eD Elisabetta Ragagnin (Dipartimento di Studi sull’Asia e l’Africa Mediterranea).
Va menzionato inoltre il gruppo di studio “Lo Swat di Alessandro: toponomastica, archeologia e testi” con Claudia Antonetti (Dipartimento di Studi Umanistici) e studiosi di vari atenei in Italia e all’estero, nonché il progetto SPIN diretto da Claudia Antonetti “Social, ritual and ceremonial use of wine in the Gandharan area, from the Achaemenids to the Kushans”, che si svolge in stretta collaborazione con la Missione archeologica in Swat.

Fonte: Comunicato Stampa Università Ca Foscari di Venezia, Gen 2022

 

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