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AREZZO. La Chimera, capolavoro etrusco e simbolo mediceo.

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La Chimera di Arezzo è un’eccezionale scultura in bronzo realizzata fra la fine del V e gli inizi del IV secolo a.C., esposta al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Fu casualmente rinvenuta il 15 novembre 1553 durante i lavori di scavo per la realizzazione di un nuovo bastione delle mura di Arezzo, nei pressi della Porta san Lorentino, e portata a Firenze per volere di Cosimo I de’ Medici.
chimeraSecondo il mito la Chimera è un mostro a tre teste – di leone, di capra e di serpente – generato da Echidna (divinità metà donna e metà serpente) e Tifone, progenitori anche della Sfinge, dell’Idra di Lerna e di Cerbero: incuteva il terrore in Licia, dove fu uccisa dall’eroe Bellerofonte a cavallo di Pegaso. Questo racconto fu rielaborato in Etruria, dove l’opera venne realizzata da artigiani etruschi (che si occuparono della fusione in bronzo) con – secondo alcuni studi – l’aiuto di maestranze greche (per l’esecuzione artistica del modello).
La Chimera di Arezzo rappresenta la fiera indomita – ormai colpita a morte – mentre arretra per sferrare l’ultimo disperato attacco a Bellerofonte: la bestia è ritratta in tutta la tensione del corpo, con i nervi in evidenza, i muscoli tesi, la criniera a ciocche irsute ed appuntite, mentre la coda a forma di serpente morde la testa di capra, ormai sanguinante e riversa di lato.
chimeraSulla zampa anteriore si legge l’iscrizione “tinscvil“, incisa prima della fusione, che permette di riconoscere in quest’opera straordinaria un dono votivo alla divinità Tinia (assimilabile al Giove dei Romani): la grafia riporta alla zona della Val di Chiana, mentre il testo si trova anche su oggetti votivi rinvenuti a Cortona e attestati in uso a Orvieto.
Al momento della scoperta il bronzo non era integro: le zampe di sinistra vennero grossolanamente ricomposte utilizzando colate di piombo, secondo una tradizione – risultata infondata – che attribuiva l’intervento a Benvenuto Cellini. La coda invece, pur recuperata, non venne mai attaccata e le fu preferita quella apposta da Francesco Carradori nel 1785, ancor oggi presente: si tratta di una coda reinterpretata, con la testa del serpente che morde uno dei corni della testa di capra, mentre probabilmente nella versione originale il serpente era rivolto in avanti, all’attacco dell’avversario. La fiera era completa di occhi, andati perduti, e di zanne, realizzate a parte in un metallo diverso e poi inserite.
Sin dal suo fortuito ritrovamento la Chimera di Arezzo divenne un formidabile simbolo di propaganda: essa incarnava le forze ostili e selvagge che il potere mediceo aveva sconfitto per costituire il proprio regno, di cui Cosimo I si fregiava del titolo di “Granduca d’Etruria”. Come scrisse il Vasari, “ha voluto il fato che la si sia trovata nel tempo del Duca Cosimo il quale è oggi domatore di tutte le chimere” (“Ragionamento tra Vasari e il Principe Francesco”, Giornata Seconda, Ragionamento Terzo).
Per questo motivo simbolico l’opera venne collocata in Palazzo Vecchio, sede del potere de’ Medici, nella sala di Leone X che – sempre secondo il Vasari – “con la sua liberalità e virtù vinse tutti gli uomini”.
La Chimera di Arezzo venne spostata da Palazzo Vecchio solo nel 1718, quando per ordine di Cosimo III fu collocata nella Galleria di Mezzogiorno degli Uffizi. Da qui venne trasferita nel 1870, quando in occasione della costituzione del Regio Museo Archeologico di Firenze fu installata al primo piano del nuovo Museo, nella Galleria dei Bronzi. Oggi si ammira sempre al primo piano, dove condivide la XV sala con il celebre Arringatore.

Info:
Per ammirare la Chimera di Arezzo si suggerisce di consultare il sito internet del Museo Archeologico Nazionale di Firenze, www.polomusealetoscana.beniculturali.it e www.museoarcheologiconazionaledifirenze.wordpress.com.

Fonte: www.viaggatricecuriosa.it, 13 gen 2021

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