Non solo arte e archeologia. È forse questo il segreto della vestigia vesuviane. Sin dalla loro scoperta nel Settecento, infatti, le città sepolte dal Vesuvio ammaliano anche per l’attualità e la suggestione delle storie che ci raccontano e per le incredibili scoperte che fanno la gioia degli scienziati di svariate discipline. È di ieri la notizia che nei resti umani di una vittima della più famosa eruzione della storia è stato rivenuto del tessuto cerebrale al cui interno hanno identificato strutture neuronali di un sistema nervoso centrale.
La scoperta è stata realizzata grazie alla sinergia fra diverse università italiane e alcuni istituti di ricerca nazionali. Un pool di alto profilo costituito da geologi, archeologi, biologi, medici legali, neurogenetisti e matematici, alla cui guida c’è l’antropologo forense Pier Paolo Petrone, in forza all’ateneo “Federico II” di Napoli.
Così, a pochi giorni dall’uscita di nuovo film dedicato alla città romana distrutta nel 79 dopo Cristo – titolo “Pompei eros e mito” (girato da Pappi Corsicato, con Isabella Rossellini, nelle sale nel prossimo week end) – il focus si sposta di nuovo dalle suggestioni storico-letterarie a quelle prettamente scientifiche, come è già accaduto in passato con le scoperte relative alle abitudini alimentari degli abitanti, alle tecniche e alle tecnologie sviluppate grazie al loro studio, o anche all’individuazione (grazie ai paleobotanici) dei vitigni di duemila anni fa che sono stati ricreati e piantati (ormai negli Scavi si vendemmia da diversi anni e si produce un vino rosso molto apprezzato). Dal lontano 1994, infatti, il Laboratorio di ricerche applicate di Pompei lavora in sinergia con decine di Istituti di ricerca e Dipartimenti italiani e stranieri, uno stuolo di esperti in diverse discipline, tra cui l’archeobotanica e l’archeozoologia.
L’ultima scoperta – che è stata pubblicata dall’autorevole rivista scientifica americana “Plos one” – è relativa invece agli Scavi di Ercolano e ha visto all’opera un pool di ricercatori delle università “Federico II” di Napoli, Roma Tre e Statale di Milano, del Cnr e del “Ceinge” (biotecnologie avanzate”).
Sulle analisi dei resti della vittima del Vesuvio il professor Petrone ha sintetizzato: «È estremamente raro il rinvenimento di tessuto cerebrale in resti umani antichi, specie con una preservazione integrale delle strutture neuronali di un sistema nervoso (in questo caso di 2000 anni fa), inoltre, noi abbiamo potuto lavorare ad una risoluzione senza precedenti. I risultati del nostro studio – ha aggiunto Petrone – mostrano che il processo di vetrificazione indotto dall’eruzione, unico nel suo genere, ha “congelato” le strutture cellulari del sistema nervoso centrale di questa vittima, preservandole intatte fino ad oggi».
Sul fondamentale passaggio legato agli sconvolgenti sbalzi di temperatura si è soffermato il docente Guido Giordano (ordinario di Vulcanologia): «La straordinaria scoperta ha potuto contare sulle tecniche più avanzate e innovative di microscopia elettronica del Dipartimento di Scienze dell’università di Roma Tre, un’eccellenza italiana dove le strutture neuronali perfettamente preservate sono state rese possibili grazie alla conversione del tessuto umano in vetro, che dà chiare indicazioni del rapido raffreddamento delle ceneri vulcaniche roventi che investirono Ercolano nelle prime fasi dell’eruzione».
Sull’inedito studio – che ha anche analizzato i dati di alcune proteine già identificate dai ricercatori e resi noti in un lavoro pubblicato lo scorso gennaio dal “New England Journal of Medicine” – si è pronunciato anche il professor Giuseppe Castaldo (principal investigator del Ceinge), spiegando: «Un aspetto di rilievo potrebbe riguardare l’espressione di geni che codificano le proteine isolate dal tessuto cerebrale umano vetrificato». Parole in qualche modo riprese da Maria Giuseppina Miano, neurogenetista all’Istituto di Genetica e Biofisica “Adriano Buzzati-Traverso” del Cnr di Napoli: «Tutte le trascrizioni geniche da noi identificate sono presenti nei vari distretti del cervello quali, ad esempio, la corteccia cerebrale, il cervelletto o l’ipotalamo».
Questi (e altri) i risultati delle indagini bioantropologiche e vulcanologiche in corso, che, sottolineano alla Federico II, «stanno via via riportando alla luce particolari mai prima messi in evidenza, che arricchiscono il complesso quadro di eventi della più nota tra le eruzioni del Vesuvio».
Nonostante le difficoltà create dal Covid il lavoro di squadra ha dato risultati eccellenti, come sottolinea Massimo Niola (docente e direttore della Uoc di Medicina legale della “Federico II”): «Le indagini sulle vittime dell’eruzione proseguono in sintonia tra i vari ambiti della ricerca. La fusione delle conoscenze dell’antropologo forense e del medico-legale stanno dando informazioni uniche, altrimenti non ottenibili».
Entusiasta il direttore del Parco archeologico di Ercolano, Francesco Sirano; «Gli straordinari risultati ottenuti dimostrano l’importanza degli studi multidisciplinari condotti dai ricercatori della Federico II e l’unicità di questo sito straordinario, ancora una volta alla ribalta internazionale con il suo patrimonio inestimabile di tesori e scoperte».
Autore: Antonio Emanuele Piedimonte
Fonte: www.lastampa.it, 3 ott 2020