Bes è forse il personaggio più singolare del pantheon egizio. In una cultura dove il modello era l’eccellenza fisica, si presenta con un fisico tozzo e nanesco, seni flaccidi, natiche pronunciate, ventre sporgente, gambe storte, lunga coda e genitali pendenti. Una criniera di leone e una barba selvaggia incorniciano un viso dai tratti felini e dall’espressione feroce, che diventa però giocosa quando mostra la lingua. Indossa un’alta corona piumata e tiene sulle spalle una pelle di pantera. La sua grottesca figura è, cosa insolita per l’Antico Egitto, raffigurata di fronte.
Il Demone o dio Bes, in origine feroce difensore del re, divenne popolare come protettore delle donne incinte, del parto, dei bambini e, più tardi, in generale, della fertilità, della sessualità e della famiglia. Allontanava gli spiriti maligni ballando, gridando e agitando sonagli e tamburelli e per questo statue del dio venivano tenute e venerate nelle case. Quando un bimbo rideva senza motivo gli egiziani pensavano che ci fosse Bes nei paraggi a fare smorfie e sberleffi.
Il dio era associato anche alla danza e alla musica. Sacerdotesse, ballerine, musicisti e anche le prostitute, si ponevano sotto la sua protezione, indossandone gli amuleti e tatuandosi le sue immagini. Bes non aveva né templi né sacerdoti e tuttavia era uno degli dei più popolari ed amati in un culto a dimensione familiare. La sua inconfondibile figura però appare anche nei rilievi dei templi, in particolare nei mammisi, e la sua immagine decora migliaia di amuleti, ciondoli, mobili, specchi, contenitori per cosmetici, gioielli e molto altro.
Noto già nell’Antico Regno, il suo culto raggiunse il culmine in epoca tolemaica. Anche i romani amarono Bes e la popolarità del dio raggiunse la Fenicia e Cipro. Al longevo culto di Bes pose termine l’imperatore Costanzo II intorno al 359 d.C.
Pur non spiccando per la sua bellezza Bes era quindi un dio benevolo la cui protezione, tra uno sberleffo ed un passo di danza, era concessa a tutti, dal re all’uomo comune. Un dio di cui si può tranquillamente affermare “brutto ma buono”.
Autore: Marina Celegon