Ancora resti umani, risalenti a 300 mila anni fa, che testimoniano la vita dei primi abitanti della Valsesia. Per il secondo anno consecutivo, negli scavi archeologici del Monte Fenera, sono stati trovati resti dell’Uomo di Neanderthal, che confermano il sito uno dei principali scrigni di reperti preistorici del Nord Italia.
Gli scavi della Grotta della Ciota Ciara, diretti dall’Università di Ferrara, Dipartimento Studi Umanistici, sono giunti alla dodicesima edizione. Durante la campagna di scavo 2019, erano stati rinvenuti per la prima volta resti umani appartenenti all’Uomo di Neanderthal: un osso occipitale (parte della porzione posteriore del cranio) e un secondo incisivo inferiore. I resti, ancora allo studio, avevano suscitato molto interesse, perché oltre ad essere ben conservati, rappresentano alcuni dei reperti in assoluto più antichi di Homo neanderthalensis.
Quest’anno la Grotta della Ciota Ciara non ha finito di stupire gli archeologi. Negli stessi livelli stratigrafici in cui erano stati trovati i resti dello scorso anno, sono stati trovati altri due denti umani: un canino e un molare inferiore. Questi nuovi resti fanno della Ciota Ciara un sito che, grazie agli studi condotti e che continueranno tutto l’anno, permetteranno di apportare nuovi elementi alla storia evolutiva della specie umana. In questi 12 anni, la Grotta della Ciota Ciara è diventata un sito fondamentale per la ricostruzione del popolamento preistorico dell’Italia del Nord Ovest; è l’unico sito, infatti, ben documentato e in fase di scavo sistematico, che offre tracce così antiche dell’occupazione preistorica. Le ricerche, portate avanti dal 2009 dall’Università di Ferrara, hanno permesso di ricostruire lo stile di vita dell’Uomo preistorico che ha frequentato le grotte del Monte Fenera durante le prime fasi del Paleolitico medio (periodo che si estende da 300 mila anni fa fino a circa 35 mila anni fa e durante il quale, in Europa, sono state presenti due specie: Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis).
La grotta è stata utilizzata in una prima fase solo come rifugio durante la caccia e successivamente per occupazioni più lunghe, probabilmente stagionali, per poi finire con un’ultima occupazione di breve durata. L’Uomo preistorico ha sfruttato principalmente le rocce locali per la produzione di strumenti e ha cacciato le specie presenti nell’area come il cervo, il cinghiale, il camoscio e il rinoceronte. Ha inoltre sventrato alcune carcasse di orso (difficile dire se cacciate o uccise durante il letargo) e di lupo, per il recupero delle pellicce.
Grazie alla presenza dei denti dei micromammiferi (piccoli roditori), i ricercatori hanno stabilito come il clima fosse temperato, con un incremento dell’aridità e un abbassamento delle temperature nei livelli più bassi. Nella grotta sono stati rinvenuti anche resti di leone, lince, lupo, tasso e martora che hanno probabilmente occupato la grotta nei periodi in cui l’uomo non era presente.
Autore: Giuseppe Orrù
Fonte: www.lastampa.it, 12 ago 2020