Il 44 a.C. è la data della morte di Giulio Cesare, a cui seguì una sanguinosa guerra civile che portò infine alla nascita, nel 27 a.C. dell’Impero Romano. Questo è quello che raccontano le cronache dell’epoca, ma c’è una parte degli storici che sottolinea come l’instabilità politica dell’epoca fu determinata anche da un lungo periodo di cattivi raccolti agricoli, carestie e malattie causate dall’arrivo di un clima freddo su tutta l’area del Mediterraneo.
Uno studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences” da Joe McConnell, del Desert Research Institute in Reno, negli Stati Uniti, indica che quell’evento climatico estremo fu causato da una massiccia eruzione del vulcano Okmok, in Alaska, cioè quasi dalla parte opposta del globo. Le ceneri proiettate nell’atmosfera, come successo molte volte nella storia della Terra, determinarono una maggiore riflessione della radiazione solare e quindi un raffreddamento notevole della superficie terrestre. Trova così riscontro sperimentale l’ipotesi formulata da molti anni da alcuni studiosi secondo cui dietro il raffreddamento climatico del Mediterraneo dell’epoca vi fosse proprio un’eruzione.
Per arrivare a questa conclusione, McConnell e colleghi hanno effettuato un’analisi geochimica della tefra, cioè l’insieme dei materiali piroclastici prodotti nel corso di un’eruzione. La tefra dell’eruzione dell’Okmok è rimasta intrappolata nelle carote di ghiaccio dell’Artide, scavate negli anni novanta in Groenlandia e in Russia e conservate in vari istituti statunitensi, danesi e tedeschi. Le nuove misurazioni, unite a quelle dell’epoca, hanno permesso di stabilire le date di due distinte eruzioni del vulcano, la prima intensa ma di breve durata, si è verificata intorno al 45 a.C. La seconda, di ben più vasta portata, si è verificata nel 43 a.C., e ha prodotto ceneri che sono sparse sui territori circostanti per altri due anni.
A conferma del fatto che fu proprio questo evento a cambiare il clima dall’altra parte del globo, gli autori hanno analizzato gli anelli di crescita di alberi in Scandinavia, Austria e California, nonché gli speleotemi della cava di Shihua, in Cina, concrezioni geologiche che rappresentano registrazioni naturali di diverse variabili climatiche della storia. Infine, hanno usato modelli del pianeta per indagare l’entità dei fenomeni vulcanici dell’epoca e il loro influsso sul clima.
Secondo i dati raccolti, i due anni seguenti alla seconda eruzione dell’Okmok furono tra i più freddi dell’emisfero boreale degli ultimi 2500 anni, e il decennio successivo fu il quarto più freddo. I modelli climatici indicano che le medie stagionali delle temperature furono di 7 °C al di sotto del normale durante l’estate e l’autunno che seguirono l’eruzione del 43 a.C., con precipitazioni estive tra il 50 e il 120 per centro oltre il normale in tutta l’Europa meridionale, mentre le precipitazioni autunnali arrivarono al 400 per cento del normale.
“Nella regione del Mediterraneo, queste condizioni estremamente fredde e umide probabilmente ridussero la resa dei raccolti e aggravarono i problemi di approvvigionamento durante i continui sconvolgimenti politici del periodo”, ha spiegato l’archeologo Andrew Wilson, dell’Università di Oxford.
“Queste scoperte danno credibilità alle segnalazioni di freddo, carestia, carenza di cibo e malattie descritte dalle antiche fonti scritte”.
Fonte: www.lescienze.it, 24 giu 2020