Navigava nel Mediterraneo nel III secolo d.C., trasportando anfore africane colme di derrate alimentari. Era una delle tante imbarcazioni commerciali simbolo della potenza economica di un impero globale e florido come quello romano. Forse un errore di calcolo o una disattenzione nella manovra di ingresso al fiume Birgi, ne causarono l’affondamento nei bassi fondali davanti a Marausa, fra Marsala e Trapani. E lì questa nave è rimasta per diciassette secoli, a pochi metri dalla spiaggia, a due metri dal livello del mare, sotto uno strato fangoso e di posidonia, sino a quando nel 1999 quando due subacquei, Tony Di Bono e Dario D’Amico, la rinvennero.
Emozionante è la descrizione che del ritrovamento ha fatto l’archeologo di fama mondiale e assessore regionale ai Beni Culturali, Sebastiano Tusa, di recente scomparso tragicamente. “Quando mi chiamarono per segnalarmi qualcosa di strano in quel tratto di mare a cento metri dalla costa – raccontò il compianto studioso – mai avrei pensato di poter ritrovare una nave romana. Invece è forse il relitto meglio conservato fra quelli ritrovati in tutto il Mediterraneo”.
Non era facile recuperare un reperto di questo tipo, tanto che per farlo ci sono voluti anni e un grande dispendio di risorse umane e materiali. L’operazione di recupero è stata completata nel 2011 dalla Soprintendenza del Mare, allora guidata da Sebastiano Tusa e il restauro eseguito dalla società Legni e Segni della Memoria di Salerno.
Sul relitto della Marausa è stato effettuato un test unico nel suo genere. Su una parte del fasciame ligneo, riportato alla luce, sono state svolte alcune verifiche per preservare e conservare i resti: le assi in legno sono state sottoposte a interventi sperimentali per garantirne la conservazione e durabilità nel tempo, proteggendole dal calore, dall’umidità e da eventuali attacchi da parte di insetti. L’assessore Tusa ha spiegato il procedimento: “Per la prima volta – ha detto – le nanotecnologie verranno applicate per l’ottimizzazione e la conservazione di un relitto in esposizione museale recuperato in fondali marini e depurato da tutti i depositi che la permanenza in acqua salmastra ha apportato alle assi di legno che compongono l’intera struttura navale.
L’imbarcazione era larga circa 8 metri e lunga 16, con tutte le caratteristiche tipiche della costruzione a guscio portante. Trasportava, come indica il carico all’interno dello scafo, varie tipologie di anfore africane chiuse da tappi di sughero e utilizzate per il trasporto di frutta secca (pinoli, nocciole, mandorle, pesche, fichi secchi), olive e con ogni probabilità vino e garum (salsa di pesce), come testimonierebbe la presenza di un tipo di resina all’interno dei contenitori.
Oggi questa meraviglia del mare è esposta al Museo archeologico Lilibeo di Marsala, in una sezione inaugurata ad aprile del 2019 dal presidente della Regione siciliana, Nello Musumeci e dalla moglie del professore Tusa, Patrizia Livigni. Con grande emozione il governatore ha ricordato che l’esposizione della nave romana di Marausa era uno dei tanti sogni di Tusa.
“È un progetto da lui fortemente voluto – ha detto Musumeci – e per il quale ha messo in campo le sue energie e la sua passione. La fatalità ha voluto che per pochi giorni non fosse lui stesso a inaugurare ciò per cui si era tanto impegnato. Oggi viene onorata la sua memoria e viene consegnata alla storia una delle tante eredità culturali e umane che ci ha lasciato”. L’allestimento dell’esposizione propone una fedele ricostruzione del relitto e presenta la parte destra dello scafo in assetto di navigazione, mentre quella sinistra così come è stata ritrovata sott’acqua.
La nuova sala adesso inaugurata, comprende le testimonianze più significative degli elementi costruttivi, delle dotazioni di bordo e del carico; un ricco apparato multimediale, un sistema di realtà aumentata e pannelli didattico-illustrativi completano l’esposizione. Il sito di ritrovamento, posto tra Marsala e Trapani allo sbocco del fiume Birgi, costituiva nell’antichità un approdo fondamentale sia dal punto di vista militare sia commerciale, a conferma dell’importanza strategica dell’isola nei secoli passati. Chissà quante altre sorprese riserva il mare siciliano.
Autore: Laura Compagnino
Fonte. www.quntastories.it, 3 giu 2019