La meticolosa descrizione lasciataci da Erodoto di Alicarnasso nelle sue Storie in merito alle imbarcazioni con “costole interne” che solcavano le acque del Nilo non poteva essere frutto della sua fantasia, come sostenuto per secoli. Ora, a distanza di 2469 anni, la prova archeologica che queste imbarcazioni sono realmente esistite è arrivata proprio dalla città sommersa di Thonis-Heracleion – principale porto dell’antico Egitto sul Mediterraneo – con il ritrovamento di una “baris” in ottimo stato di conservazione, il cui schema costruttivo riporta a quanto ci ha tramandato lo storico greco.
Possiamo solo immaginare lo stupore del team del Centro di Archeologia Marittima della Oxford University, diretto dal dott. Damian Robinson, quando ha realizzato che quella che stavano osservando nella loro immersione era proprio l’imbarcazione che lo storico descrisse minuziosamente e che quelle che avevano sotto gli occhi erano le “lunghe costole interne” di cui Erodoto parlava e nessuno capiva il significato, una struttura che l’attività archeologica non aveva mai restituito. Erodoto, dunque, non aveva lavorato di fantasia!
Nel 450 a.C. circa lo storico fece un viaggio in Egitto e vi si intrattenne per 4 anni registrando tutto ciò che vide; in ventitré righe scrisse di insolite imbarcazioni fluviali e ne descrisse meticolosamente anche le caratteristiche tecniche potendo osservare in prima persona la costruzione di una di esse.
“I battelli egiziani per il trasporto delle merci sono costruiti in legno di acacia: un albero di aspetto similissimo al loto di Cirene e da cui goccia della gomma. Tagliano da questa acacia pezzi di legno di circa due braccia, che mettono insieme come mattoni, costruiscono il battello come segue. Collegano i pezzi di legno, di due cubiti, con lunghi e frequenti cavicchi; e quando hanno costruito in questo modo vi tendono sopra delle traverse. Nessun uso di tavole laterali. Turano le commessure interne con papiro; e apprestano un solo timone, che passa attraverso la carena. Per l’albero adoperano l’acacia e per le vele il papiro. Questi battelli non possono risalire il fiume se non domina un forte vento, e vengono tirati da terra. Invece in discesa ecco come vanno. C’è un graticcio costruito di tamarisco, tenuto insieme da una stuoia di canne, e una pietra forata del peso di circa due talenti. La tavola vien gettata, legata a una fune, avanti al battello, che il fiume la porti – alla superficie –, e dietro, con un’altra fune, la pietra. La tavola sotto l’urto della corrente cammina veloce trascinando la baris, tal nome hanno appunto questi battelli, e la pietra, trascinata dietro e stando sul fondo del fiume, mantiene diritto il corso della navigazione. Gli egiziani hanno una grande quantità di questi battelli, di cui alcuni trasportano molte migliaia di talenti di carico”.
In passato, nel tentativo di interpretare il testo senza prove archeologiche, non era ben chiaro di cosa parlasse Erodoto, ma ora tutto ha un significato. Lo scavo del relitto battezzato Ship 17 (Nave 17) ha rivelato un vasto scafo a forma di mezzaluna conservatosi integro per il 70% grazie al limo che vi si è depositato per millenni ed un tipo di costruzione precedentemente non documentato composto con tavole spesse assemblate con tenoni proprio come osservò Erodoto descrivendo però una nave leggermente più piccola, in quanto, questa ritrovata, originariamente doveva misurare 28 m di lunghezza. Di certo, quella “riaffiorata” dal limo è una forma di costruzione completamente unica e rappresenta una delle prime imbarcazioni commerciali egiziane su larga scala che siano mai state scoperte.
Il ritrovamento è stato effettuato nel 2014 da Franck Goddio e una squadra dell’Institut Européen d’Archéologie Sous-Marine ed è tornato alla ribalta grazie alla recente pubblicazione del libro “Ship 17: a Baris from Thonis-Heracleion” di Alexander Belov (Oxford Centre for Maritime Archaeology) dove l’autore conclude che si tratta di una imbarcazione da diporto assemblata con metodo tipicamente egiziano e dove suggerisce che l’architettura nautica del relitto è così vicina alla descrizione di Erodoto che l’imbarcazione potrebbe essere stata realizzata proprio nel cantiere navale visitato dallo storico, in quanto, analizzando parola per parola l’antico testo, si evince come la descrizione corrisponda quasi esattamente alle prove archeologiche. Erodoto annotò le fasi di lavorazione degli antichi artigiani che dapprima tagliavano le tavole di due cubiti di lunghezza (1 m circa) poi le sistemavano come “mattoni” una sull’altra, inserendole su robusti e lunghi travi e rendendo stagne le fessure di giunzione dall’interno con il papiro. Nella sua descrizione Erodoto racconta anche come il timone era collegato alla chiglia e come le vele di papiro erano fissate all’albero di acacia…
Autore: Tiziana Giuliani
Fonte: www.mediterraneoantico.it, 21 giu 2019