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POLCENIGO (Pn). Riemerge il villaggio neolitico dalla torba dopo 6000 anni.

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Sono riprese, grazie a un finanziamento dell’UTI Livenza-Cansiglio-Cavallo, le ricerche archeologiche presso il sito Unesco Palù di Livenza, nell’ambito del Progetto di ricerca e tutela del sito, coordinato dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio del Friuli Venezia Giulia e diretto dal funzionario archeologo Roberto Micheli.
Avviate già negli scorsi mesi di luglio e agosto con l’obiettivo di completare lo scavo del deposito neolitico presente nel Settore 3 e di comprendere alcuni aspetti problematici non risolti, le indagini, condotte dalla ditta CORA Società Archeologica Srl di Trento con il supporto logistico e la collaborazione dei volontari del Gruppo Archeologico di Polcenigo (Gr.A.PO.), hanno portato quest’anno ad importanti risultati scientifici.
Oltre a numerosi manufatti in legno molto ben conservati, sono stati, infatti, riportati alla luce alcuni materiali particolarmente interessanti: alcune pintadere in terracotta che confermano una volta di più l’importanza di questi oggetti al Palù di Livenza. L’interpretazione più comune e accettata per le pintadere è quella di stampi per decorare o abbellire il corpo umano oppure materiali organici deperibili come i tessuti o il cuoio. Le ricerche hanno restituito anche altri materiali degni di nota come ad esempio alcuni pesi da telaio frammentari in terracotta.
Tra gli abbondanti resti organici raccolti, vi sono diversi piccoli grumi con tracce di masticazione che possono essere interpretati come gomme da masticare.

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Le analisi archeometriche effettuate su tre reperti, grazie alla collaborazione tra la SABAP FVG, l’Istituto Internazionale di Fisica Teorica ‟Abdul Salam” (ICTP), il Dipartimento di Ingegneria dell’Università degli Studi di Trieste e il Centro di ricerca multidisciplinare Elettra-Sincrotrone hanno rivelato che si tratta di pece o catrame di betulla.
I grumi masticati di pece del Palù di Livenza sono molto simili alle “gomme” che si rinvengono in diverse palafitte dell’area alpina e, in particolare, in gran numero a Hornstaad-Hörnle in Germania; ciò prova l’abitudine di masticare catrame di betulla e forse anche resina di conifere nei villaggi palafitticoli della fine del Neolitico.
Nella preistoria, la pece era utilizzata prevalentemente come adesivo come indicano ad esempio i resti rilevati su alcuni oggetti del corredo dell’uomo del Similaun. La pece si ottiene dalla distillazione secca della corteccia. Nella medicina popolare era usata nel passato per la cura delle malattie della pelle, del mal di gola o dei denti, così come per la pulizia dentale. Tuttavia, il suo impiego medico è oggi sconsigliato in quanto il catrame è cancerogeno.

Fonte:
Ufficio Stampa e Comunicazione della Soprintendenza Archeologia, belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia Giulia
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