Dopo secoli di oblio finalmente la luce. Il teatro ellenistico di Agrigento è l’ultima perla archeologica emersa dalla terra siciliana. In realtà era sempre stato lì, muto, aspettando la felice intuizione di qualche studioso.
Benché mortificato dalle spoliazioni che si sono succedute nel corso dei secoli per costruire la città che oggi conosciamo, conservava ancora la sua fisionomia originaria ma nessuno, fino ad oggi, era riuscito a trovarlo.
L’ultimo a provarci fu il veronese Pirro Marconi, negli anni ’20. Marconi, però, compì un imperdonabile errore di interpretazione che lo mise sulla strada sbagliata. Soprattutto, non aveva a disposizione un georadar che gli consentisse di scandagliare la terra in profondità. Più che un teatro era diventato una chimera.
La grande caccia è iniziata nel 2016. Settimane di indagini strumentali, riscontri, ipotesi e osservazioni hanno portato alla ragionevole certezza che un anonimo banco calcarenitico distante poche centinaia di metri dal Tempio della Concordia (icona assoluta della Valle dei Templi) in realtà celasse… il Teatro.
“Per mesi non lo abbiamo chiamato teatro”, scherza l’archeologa Maria Concetta Parello, “un po’ per scaramanzia e un po’ perché stentavamo anche noi a riconoscerne la struttura”.
Pensate, l’unica fonte scritta sull’argomento risale alla metà del ‘500. Il frate domenicano Tommaso Fazello che aveva redatto il De Rebus Siculis Decades Duae, primo libro “stampato” sulla storia della Sicilia, dopo aver visitato Agrigento riservò solo poche parole al teatro. “Ne riconosco a malapena le fondamenta” scrisse. Segno che a quell’epoca erano già stati asportati molti blocchi di pietra per costruire la città nuova.
“Eppure siamo riusciti (tra la fine del 2017 e la prima parte del 2018, Ndr) a individuare la summa cavea del teatro e i sedili per gli spettatori” continua Parello, mentre ci guida tra gli archeologi che sono ancora al lavoro per liberare la parte bassa della struttura.
Come da tradizione architettonica in voga nel periodo ellenistico, gli spalti erano addossati al banco roccioso mentre la parte ‘costruita’ del teatro veniva realizzata fuori terra “con muraglioni alti oltre dieci metri”, conferma l’archeologa.
La struttura subì un grande rifacimento verso la fine del III secolo a.C., quando l’antica Akragas diventò l’Agrigentum dei Romani. “Ma il teatro esisteva già un secolo prima e solo in seguito alla conquista fu ampliato, forse fino alla ragguardevole misura di 95 metri di diametro”. Non male per un teatro di ‘provincia’.
Quasi ogni giorno lo scavo ha regalato meraviglie, anche oggetti molto significativi. “Nel riempimento della cavea abbiamo ritrovato un deposito di manufatti riferibili ad un rito propiziatorio. Si tratta di vasi di uso quotidiano, utilizzati per bere e per contenere liquidi, compreso un piccolo vaso con beccuccio, un guttus, sorta di biberon ante litteram”. E poi maschere, lucerne, monili, effigi, tutto affidato immediatamente alle mani della restauratrice Marilanda Rizzo Pinna.
Adesso i lavori sono fermi, riprenderanno nella primavera del 2019. Obiettivo, riportare alla luce l’orchestra, lo spazio architettonico che si frapponeva tra gli spalti e la scena.
Ma il teatro non è stata l’unica sorpresa della campagna di scavi appena conclusasi. Gli archeologi, infatti, sono intervenuti anche nell’insula IV del vicino quartiere ellenistico-romano, una vasta distesa di ambienti che erano già stati riportati alla luce negli anni ’50 con i fondi della Cassa per il Mezzogiorno.
Lì Parello e il suo team hanno trovato delle terme urbane databili all’epoca di Costantino, IV secolo d.C.
“Durante l’Impero di Costantino vennero realizzate strade molto importanti come la Palermo-Catania e la Palermo-Agrigento”, conclude l’archeologa. “Lungo questi assi viari c’erano mansiones e stazioni di posta dotate di terme. Qui ne abbiamo un meraviglioso esempio”.
Nessuno vorrebbe abbandonare trowel e pale perché il lavoro da fare è ancora tanto e gravido di scoperte ma se ne riparlerà il prossimo anno.
Autore: Marco Merola
Fonte: www.nationalgeographic.it