È solo una piccola falange di 3,2 centimetri di lunghezza, ma significa molto per la ricostruzione della nostra storia. È il più antico fossile di Homo sapiens scoperto finora al di fuori dell’Africa e del Medio Oriente. È stato trovato ad Al Wusta, nel deserto del Nefud, in un’area centro-settentrionale dell’Arabia Saudita, e suggerisce che le prime migrazioni della nostra specie verso l’Eurasia furono più estese di quanto ritenuto.
Huw Groucutt del Max-Planck-Institut per la scienza della storia umana a Jena, in Germania, e colleghi hanno descritto il reperto su “Nature Ecology & Evolution”. Sul fossile, gli autori hanno effettuato scansioni tridimensionali con una tecnica tomografica, poi hanno confrontato i risultati con quelli relativi ad altre ossa dello stesso tipo, appartenuti a primati non umani, ad antichi ominidi, come l’uomo di Neanderthal, e a H. sapiens. Le analisi finali hanno confermato che l’osso è di un individuo della nostra specie.
I metodi di datazione, basati sulla misurazione dell’abbondanza relativa di rari elementi radioattivi, hanno stabilito che il reperto risale a un periodo compreso tra 95.000 e 86.000 anni fa, coerentemente con la datazione di altri reperti e di sedimenti, effettuata con tecniche differenti, venuti alla luce nella stessa area.
Nel modello finora più accreditato, l’espansione di H. sapiens dall’Africa verso l’Eurasia prevede due fasi tra loro distanti nel tempo. Secondo questo modello, la prima migrazione seguì un corridoio nel Medio Oriente che costeggiava la porzione orientale del bacino del Mediterraneo. Tradizionalmente, questa primo evento veniva fatto risalire a circa 130.000-90.000 anni fa, ma recenti scoperte nella grotta di Misliya, in Israele, hanno retrodatato questa migrazione a prima di 177.000 anni fa. Questa nuova datazione ha trovato sostegno sia in dati paleogenetici recenti, che fanno ritenere che la separazione del ramo di H. sapiens da ominidi più antichi sia da situare tra 260.000 e 350.000 anni fa, sia con i resti di H. sapiens scoperti nella grotta di Jebel Irhoud, in Marocco, datati tra 280.000 e 350.000 anni fa.
La seconda fase migratoria dell’essere umano moderno è invece situata a circa 65.000 anni fa, con una parziale sovrapposizione, quindi, con la presenza dell’uomo di Neanderthal in Medioriente tra 70.000 e 48.000 anni fa. Sfortunatamente, di questa seconda migrazione sono rimasti pochissimi fossili, e la sua cronologia e la sua geografia sono basate su artefatti litici.
Dunque, la falange di Al Wusta, a questo riguardo, cambia molte cose. Conferma infatti la presenza di H. sapiens in Medio Oriente tra i due maggiori eventi migratori, aprendo la strada a una diversa interpretazione dei dati paleontologici e archeologici: la migrazione potrebbe essere stata un fenomeno continuativo, non concentrato in due eventi separati.
I ricercatori hanno stabilito che all’epoca in cui è vissuto l’individuo al quale appartiene il fossile, il clima della regione che circondava il sito era umido e monsonico. Questo modello è stato confermato dalla scoperta nella stessa area di ossa fossili di ippopotamo e conchiglie di lumaca d’acqua dolce.
Gli autori hanno ipotizzato che questa antica incursione nella verde Arabia, parte della diaspora umana fuori dall’Africa, potrebbe essere stata facilitata dall’incremento delle piogge estive, che portò i primi esseri umani migranti a occupare non solo le foreste del Medio Oriente, alimentate principalmente dalle piogge nella stagione fredda, ma anche le praterie semi-aride dell’Arabia interna, come la regione di Al Wusta.
“La nostra scoperta mostra per la prima volta in modo conclusivo che i primi individui della nostra specie colonizzarono un’estesa regione dell’Asia sud-orientale, non si fermarono al Medio Oriente”, ha spiegato Groucutt. “L’abilità di queste prime popolazioni di colonizzare ampiamente questa regione mette in discussione una teoria finora condivisa, secondo cui le prime dispersioni ‘out of Africa’ furono localizzate ed ebbero un successo limitato”.
Fonte: www.lescienze.it, 9 apr 2018