In epoca fascista, grazie a un’impresa archeologica senza precedenti, ne avevamo recuperate due. Oggi la storia potrebbe ripetersi, almeno così qualcuno ritiene. È infatti appena partita la ricerca della terza nave di Caligola, una ipotetica imbarcazione imperiale romana che qualcuno pensa possa trovarsi, come le sue gemelle, sotto le acque del lago di Nemi. A condurre la caccia – o meglio, la pesca – i tecnici dell’Agenzia regionale per la Protezione dell’Ambiente della Calabria (Arpacal), appena arrivati nella cittadina laziale l’attrezzatura per la ricerca subacquea. In collaborazione con la squadra sub Castelli Romani Underwater Team e con la sezione sub dell’Arma dei Carabinieri, scandaglieranno per una settimana le acque del lago.
“Dieci file di remi, la poppa brillante di gioielli, ampi bagni, gallerie e saloni, sempre rifornite di gran varietà di viti e alberi da frutto”. Così parlava Svetonio, nelle sue Vite dei Cesari, a proposito degli yacht dell’imperatore Caligola: facile comprendere perché gli archeologi siano così interessati al loro recupero. Anche perché c’è chi ritiene che la terza nave, quella che sarebbe sfuggita alle ricerche, sia la più imponente e lussuosa della flotta.
Ma andiamo con ordine. I primi tentativi di riportare alla luce le navi, avvistate dai pescatori del luogo, risalgono al Rinascimento, quando il cardinale Prospero Colonna incaricò l’architetto Leon Battista Alberti di esplorare il relitto più vicino alla riva. Le esplorazioni proseguirono fino a fine Ottocento, quando ci si rese conto che le imbarcazioni erano troppo grandi e pesanti per poter essere portate a galla con i mezzi dell’epoca. Fu solo verso la metà degli anni venti del secolo scorso che lo stato si incaricò in prima persona del recupero, commissionando l’impresa alla società Costruzioni Meccaniche Riva di Milano, guidata dall’ingegnere Guido Ucelli.
Furono messe in campo tecnologie all’avanguardia per l’epoca: turbine e pompe meccaniche che aspirarono l’acqua del lago, abbassandone il livello di oltre venti metri e facendo progressivamente affiorare due gioielli di architettura navale in ottimo stato di conservazione. I due relitti, lunghi rispettivamente 71 e 75 metri, furono trasportati nel Museo delle Navi romane di Nemi, appositamente costruito, ma non ebbero molta fortuna. Nella notte tra il 31 maggio e il primo giugno 1944 il museo fu devastato da un violento incendio, che distrusse completamente il relitto. La natura dell’incidente non è mai stata chiarita, anche se l’ipotesi più accreditata è che si sia trattato di un incendio di natura dolosa, appiccato dalle truppe tedesche in spregio al patrimonio artistico italiano.
Il resto è storia recente. La ricerca della leggendaria terza nave è partita ufficialmente a giugno 2016, quando il sindaco di Nemi, Alberto Bertucci, ha abbracciato l’ipotesi avanzata da un architetto di Genzano, Giuliano di Benedetti, che sostiene di possedere prove storiche dell’esistenza della terza nave e della sua effettiva presenza sul fondo del lago di Nemi. Personaggio singolare, quest’ultimo, considerando che qualche anno fa affermò che la “selva oscura” di cui parla Dante nelle Divina Commedia si trovava proprio nel lago di Nemi. Come che sia, l’Arpacal ha deciso di collaborare al progetto, inviando sul posto Luigi Dattola, esperto del Centro Geologia e Amianto, con due strumenti, un “side scan sonar” e un “sub bottom profiler”, che consentono di individuare gli oggetti sommersi. Una dotazione indispensabile, dal momento che il fango nel lago limita la visibilità sottomarina a meno di 25 centimetri. È da sottolineare, comunque, che il Museo delle Navi romane, che fa capo alla Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio, raggiunto da Repubblica, ha dichiarato di non essere al corrente dell’iniziativa.
Autore: Sandro Iannaccone
Fonte: www.repubblica.it, 4 aprile 2017