La Biblioteca Bodleiana di Oxford custodiva senza saperlo uno dei più importanti codici aztechi, rimasto per più di 500 anni nascosto alla vista da uno strato di gesso. Redatto prima dell’arrivo di Hernán Cortés, si aggiunge alla ventina di manoscritti sopravvissuti all’ignoranza devastatrice dei conquistadores spagnoli, che bruciarono quasi tutti i testi di quell’antica civiltà.
Il nuovo codice è stato trovato sul retro di un altro manoscritto, il Codice Selden, uno dei sei testi rimasti del «Popolo delle nuvole» mixteco. Già negli Anni 50, grazie a una crepa causata accidentalmente, si era scoperto che sul retro del Selden c’erano tracce di pigmenti colorati. Ma non era stato possibile andare oltre: le uniche tecniche disponibili all’epoca erano troppo invasive e avrebbero distrutto il documento. Solo grazie all’acquisto nel 2014 di uno scanner iperspettrale, una tecnologia che gli astrofisici usano per individuare il colore delle stelle, gli scienziati della Bodleiana, aiutati da colleghi delle università olandesi di Leida e di Delft, hanno potuto scoprire che il Codice Selden era stato scritto su una pelle di daino già usata in precedenza.
Il testo narra una storia che potrebbe svelarci nuovi aspetti di com’era la vita nel Messico precolombiano. Redatto come un moderno fumetto con disegni accompagnati da simboli e testi, il codice raffigura spesso un personaggio identificato con una corda contorta e un pugnale di selce. Sembra essere un re, o un importante patriarca di almeno due lignaggi legati ai siti archeologici di Zaachila e Teozacualco. Davanti a lui, tra persone osannanti, sono raffigurate per la prima volta anche donne, che hanno strani capelli rossi. Ci sono indicazioni di fiumi e di città forse ancora sconosciute, delle quali si narra la storia.
Il lavoro di ricerca, pubblicato sul Journal of Archaelogical Science, è all’inizio, ma promette di rivelare molto sugli Aztechi. E negli archivi della Bodleiana ci sono migliaia di altri fragili manoscritti che attendono uno scanner iperspettrale, inventato per indagare l’Universo e forse ancora più utile per svelare il passato dell’umanità.
Autore: Vittorio Sabadin
Fonte: www.lastampa.it, 24 ago 2016