Grazie ai metodi geofisici è possibile rilevare la presenza sotterranea di strutture quali fondazioni, pavimenti, strade, forni, focolari, tombe, sepolture, pozzi, cavità, latrine, fossati e buche di pali.
I metodi geofisici permettono di disegnare una “carta archeologica” del sottosuolo. Questa mappatura ha una doppia funzione: indica agli archeologi il luogo esatto in cui lo scavo deve essere fatto (risparmiando soldi e tempo), e fornisce i criteri per una pianificazione territoriale adeguata. La localizzazione dei siti archeologici può essere utilizzata come guida per politici, amministratori e urbanisti nella realizzazione di progetti, evitando il rischio di distruggere importanti resti del passato e di incorrere nel fermo archeologico.
Metodo magnetico
Il metodo magnetico si basa sulla misura del campo magnetico terrestre. Magnetometri a protoni e i più recenti magnetometri al cesio permettono di coprire grandi superfici in un periodo di tempo limitato registrando una quantità enorme di dati. L’indagine magnetica ha come principale obiettivo l’individuazione dei cambiamenti (anomalie) del campo magnetico terrestre, le anomalie magnetiche sono per lo più prodotte da strutture archeologiche sotterranee. Due diversi meccanismi sono responsabili della comparsa di anomalie magnetiche: il magnetismo residuo termico e il magnetismo indotto. Il primo è responsabile delle anomalie associate con strutture quali forni, fornaci, tombe, fondazioni e muri in mattoni o in roccia di origine magnatica; il secondo meccanismo genera le anomalie connesse a strutture archeologiche quali pozzi, latrine, sepolture e fossati
Metodo resistivo
Il metodo resistivo sfrutta il fatto che la resistività elettrica delle strutture archeologiche è generalmente diversa da quella del terreno che le ricopre. In questo modo si generano anomalie di resistività. Strutture quali ad esempio muri, fondazioni, strade, tombe e cavità sono cattivi conduttori, mentre sepolture in terra, fossati, pozzi, buche di riempimento, latrine, sono in genere buoni conduttori. Nel primo caso viene generata una anomalia positiva, nel secondo una anomalia negativa. Differenti configurazioni elettrodiche vengono utilizzate, a seconda del tipo di struttura archeologica e dimensione e profondità, anche se il dispositivo elettrodico più frequentemente impiegato è il ben conosciuto “ twin electrode” in grado di investigare grandi superficie (dell’ordine di qualche migliaio di mq al giorno) e di localizzare strutture fino ad un metro di profondità. Da ultimo si sottolinea come il risultato di un’indagine resistiva possa dipendere dalle condizioni climatiche al momento della esecuzione delle misure.
Metodo radar (Ground Penetrating Radar o G.P.R)
Nel metodo rada un impulso elettromagnetico prodotto da un’antenna viene inviato nel terreno. Ogni volta che l’impulso colpisce un oggetto avente dimensioni fisiche sufficienti e proprietà elettromagnetiche diverse da quelle del sottosuolo, una riflessione viene generata e registrata dalla antenna che viene trainata lungo il profilo. Così facendo viene generato un profilo radar, dove sono registrate le anomalie radar, altrimenti detti echi.
Contenuto di frequenza dell’impulso elettromagnetico, natura (conducibilità e costante dielettrica) del sottosuolo e delle strutture, dimensioni e profondità delle strutture archeologiche regolano l’ampiezza e la forma del eco registrato sul profilo radar. In generale buoni risultati si ottengono in terreni asciutti poveri di argilla, ove sono sepolte strutture come cavità, tombe, fondazioni. GPR è l’unico metodo geofisica in grado di dare buoni risultati all’interno degli edifici (chiese, castelli) o quando l’area di indagine è coperto da strade o piazze.
Info:
Dr. Sandro Veronese geologo/geofisico
via A. de Polzer 18 – 45100 Rovigo
tel. 0425 29133 cell.3319839708 – e-mail: sanveronese1@gmail.com