Il contenuto dei papiri sopravvissuti all’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. , ancora arrotolati e carbonizzati, potrà essere letto grazie alla tecnica messa a punto da Vito Mocella del CNR-IMM di Napoli in collaborazione con Emmanuel Brun e Claudio Ferrero dell’ESRF (il sincrotrone europeo di Grenoble) e con Daniel Delattre del CNRS-IRHT di Parigi. Come riferiscono su “Nature Communications”, i quattro sono infatti a riusciti a visualizzare lettere e parole vergate su una superficie nascosta all’interno di uno di questi rotoli.
Nel 1754, una campagna di scavi archeologici a Ercolano voluta da Carlo di Borbone re di Napoli portò alla scoperta di una grande villa, oggi nota come Villa dei papiri, forse appartenuta a Lucio Calpurnio Pisone Cesonino, suocero di Cesare, e ai suoi discendenti. All’interno della villa vi era una biblioteca contenente centinaia di papiri manoscritti, ormai carbonizzati, ma accuratamente conservati in scaffali. Questa ricca collezione – sottolineano gli autori – è un tesoro culturale unico in quanto è l’unica biblioteca antica giunta a noi con i suoi libri.
Per esaminare i papiri furono escogitati diversi metodi di apertura – da quello ideato dall’abate Antonio Piaggio subito dopo la loro scoperta, fino al “metodo di Oslo” degli anni ottanta del secolo scorso – ma tutti vennero presto abbandonati dopo pochi tentativi. Anche applicandoli ai papiri carbonizzati più robusti e meglio conservati, provocano infatti la perdita irrimediabile di un numero eccessivo di testi; per questo si preferì preservare l’integrità fisica dei reperti, nella speranza di poterli leggere un giorno nella loro interezza grazie ai progressi tecnici.
Le tecniche radiografiche convenzionali, nelle quali il contrasto dell’immagine è legato ai diversi modelli di assorbimento dei raggi X da parte dei vari materiali, non avevano finora dato alcun frutto perché i papiri erano scritti con un inchiostro a base di nerofumo, la cui densità è quasi identica a quella del papiro carbonizzato. E nemmeno la fluorescenza a raggi X, applicata con successo per la mappatura chimica (e quindi alla lettura) di antichi manoscritti e palinsesti coperti da altri scritti più recenti, e la tomografia computerizzata a raggi X avevano dato risultati soddisfacenti.
Ora, Vito Mocella e colleghi hanno adattato a questa applicazione archeologica la tomografia a raggi X in contrasto di fase, che permette non solo di distinguere i differenti livelli di avvolgimento del rotolo, ma anche di ottenere un discreto contrasto fra l’inchiostro e il papiro carbonizzati.
I ricercatori hanno così esaminato due dei sei rotoli di Ercolano conservati all’Institut de France a Parigi, dove giunsero nel 1802 come omaggio a Napoleone (gli altri sono conservati nell’Officina dei Papiri della Biblioteca Nazionale di Napoli). Uno dei due rotoli era stato aperto in epoca passata ed è servito come campione di riferimento per l’identificazione delle lettere, mentre l’altro era ancora strettamente arrotolato.
I ricercatori sono riusciti a leggere numerose lettere e parole scritte su superfici nascoste di questo secondo papiro, scoprendo, fra l’altro, che lo stile di scrittura è simile a quello di un altro papiro di Ercolano scritto dal filosofo epicureo Filodemo. Forse, ipotizzano gli autori, anche questo testo è di pugno dello stesso Filodemo.
Fonte: www.lescienze.it , 20 gen 2015