Un diverso livello di attivazione dei geni sarebbe responsabile di molte delle differenze che distinguono l’uomo moderno dalle antiche specie cugine dei Neanderthal e dei denisoviani. E’ quanto risulta da una ricerca condotta in collaborazione da genetisti e antropologi della Hebrew University di Gerusalemme e del Max Planck Institut per l’antropologia evoluzionistica di Lipsia, che per la prima volta si sono cimentati nella ricostruzione dell’epigenoma delle due specie estinte. Come il genoma è la mappa dei geni che formano il patrimonio genetico, l’epigenoma è la mappa dei processi biochimici – tecnicamente, i processi di metilazione – che definiscono i tempi e i modi di accensione e di silenziamento di quei geni.
Nello studio, pubblicato su “Science”, David Gokhman e colleghi hanno classificato le regioni del genoma delle tre specie in base ai livelli di metilazione che presentavano, identificandone circa 2000 nelle quali si differenziavano in misura significativa. Tipicamente, nell’uomo moderno i livelli di metilazione di quelle regioni sono circa metà di quelli che caratterizzano i neanderthaliani e i denisovani, e queste regioni comprendono un gruppo di geni che presiedono alla definizione dell’architettura di diverse strutture corporee (geni homeobox), come il gruppo dei geni HOXD che controllano le dimensioni delle articolazioni, delle braccia, delle gambe, delle mani e delle dita.
I ricercatori hanno inoltre scoperto che metà di queste regioni contengono geni associati allo sviluppo di malattie e che un terzo di questi ultimi è associato allo sviluppo di patologie neurologiche e psichiatriche.
Oltre ai risultati ottenuti, che – avvertono gli autori – vanno comunque presi con cautela dato che per quanto riguarda Neanderthal e denisoviani lo studio è stato condotto sui resti di due soli individui, è di particolare interesse il nuovo metodo di analisi messo a punto dai ricercatori.
La mappatura dell’epigenoma con la metodologia standard richiede infatti, quantità piuttosto abbondanti di DNA, superiori a quelli che si possono ricavare in genere da un fossile. Tuttavia, già dal 2005 si era pensato di ricostruire l’epigenoma usando uno stratagemma. Le parti di DNA metilate di degradano in un modo molto specifico e riconoscibile, permettendo una ricostruzione “a ritroso”. All’epoca però non si disponeva di apparecchiature in grado di eseguire il sequenziamento estremamente accurato che è necessario, oggi reso possibile dagli strumenti di ultimissima generazione.
Fonte: www.lescienze.it , 18 aprile 2014