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NAPOLI. Duomo, i resti romani bloccati dagli abusivi.

Paradossi del centro storico: verso l’insula del Duomo sono stati dirottati 5 milioni di fondi Unesco per interventi di valorizzazione e per migliorare la “fruibilità turistico-culturale del complesso”.
Invece a pochi passi, nel vicolo del Carminiello ai Mannesi, dove non arriverà un centesimo e in cui sono conservati i resti di una grande struttura di epoca romana, i turisti scappano a gambe levate, respinti dalla puzza e dal degrado. Il problema non è il sito archeologico, che si presenta in ottime condizioni. Gli ambienti risalenti al I secolo d. C. sono ben curati da un gruppo di volontari e protetti da pareti invalicabili: il pesante cancello che ne assicura l’integrità si apre solo per consentire occasionali visite guidate. I motivi della grande fuga vanno cercati intorno al fortino. È un’impresa il solo avvicinarsi a causa delle auto posteggiate una sull’altra, al punto che ci chiediamo come facciano i proprietari ad uscirne. Grazie a qualche piccola contorsione riusciamo ad incunearci tra i cofani, pestando inevitabilmente escrementi di cui il selciato è tappezzato. A completare il quadro c’è il cassonetto che trabocca di rifiuti sulla stretta via. Insomma, sporco e cattivi odori assediano le suggestive rovine. Eppure gli avventurieri che raggiungono il cancello hanno comunque l’opportunità di ammirare, tra le sbarre, il complesso scoperto nel 1943 in seguito al bombardamento che distrusse Santa Maria del Carmine ai Mannesi.
Dalle macerie tornò alla luce questa costruzione a più livelli riadattata in varie epoche. Circa duemila anni fa era un centro termale, luogo di svago e commerci più o meno leciti. E a Napoli – si sa – sacro e profano sono sempre andati a braccetto, come dimostrano alcuni ambienti che nei secoli successivi furono destinati alla preghiera. Non quella cristiana, però: un bassorilievo raffigura il dio Mitra nell’atto di sacrificare il toro.
«Il complesso del Carminiello è un bello spaccato della città antica restituito alla collettività», spiega Michele Stefanile, docente di archeologia all’Orientale. «Prima del recupero era usato come parcheggio abusivo e ricovero per attività criminali; oggi, dopo il sequestro, è un prezioso sito sconosciuto ai più ma reso visitabile grazie, in primis, al Gruppo Archeologico Napoletano». Resta il problema del contesto, e non è solo una questione di pulizia. Lo comprendiamo fermandoci ad osservare le maestose rovine per più di cinque minuti. La nostra presenza dà fastidio ad alcuni individui che gravitano nella zona. Sguardi ammonitori invitano a cambiar aria. Dopo un pò ce ne andiamo, ma stavolta la puzza non c’entra niente.

Fonte: Il Corriere del Mezzogiorno, 14 mar 2014

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