Fa veramente male. Passare davanti al cantiere della Linea 1 del metrò di piazza Municipio e vedere una ruspa che butta giù pezzi di muro. Anonimo, forse, ma per alcuni studiosi databili al viceregno. Di tufo giallo e allo stesso livello degli antichi bastioni del Maschio Angioino risalenti agli aragonesi, sepolti e riportati alla luce con gli scavi per realizzare il progetto di Alvaro Siza. Testimonianze di storia di una città e del suo cuore pulsante attraverso i secoli, buttati giù. Possibile? La Soprintendenza, spiegano i bene informati, può solo registrare, catalogare, ma in nessun modo opporsi all’avanzamento dei lavori di un progetto di grande importanza pubblica. Soprattutto se, come spiega la stessa Soprintendenza, quelle mura «non hanno alcun valore. Sono tardo ottocentesche. Vasche di riempimento. Devono andare giù se si vuole terminare l’opera».
Chi ha ragione? La questione riporta alla luce polemiche e dubbi mai sopiti. «In qualsiasi altra città – spiega l’architetto Giulio Pane – si sarebbero approntate una serie di varianti a secondo dei reperti archeologici che venivano trovati. Qui no, si va avanti come un treno». Ma nessuno si oppone? «Il contenzioso è aperto, ma con scarsi risultati. Il palazzetto angioino venuto alla luce qualche anno fa è stato segato, catalogato e numerato. Ora si trova in un deposito di Secondigliano. Dicono che lo rimonteranno. Sì. Quando e dove?».
In Piazza Municipio si realizzerà il ricongiungimento tra la linea 1 e la linea 6 del metrò, quella della Riviera di Chiaia. Ma lì sotto sta affiorando la città a strati. Fino ad ora oltre tremila reperti. Come le famose barche venute alla luce nel 2003. Risalenti al V secolo e fatte con legno d’abete. Servivano a trasportare beni e mercanzie tra le navi di grosso pescaggio ancorate in rada. Trovati anche i resti di quello che per anni era stato trasportato: moltissime anfore, alcune ancora con i tappi di sughero, e poi ceramiche, corde, gioielli, scarpe che nel fango indurito si sono conservate per anni fino a noi.
Una Napoli medievale dove sono affiorati anche i pezzi della cinta muraria che proteggeva il castello dalle rivolte popolane. Bastioni integri e palazzetti, la rampa aragonese che era l’originario accesso al Maschio. Di queste opere, preziosissime per gli studiosi di Napoli, non c’è più traccia. Che fine hanno fatto? Si dice che sono state smontate con cura, pezzo per pezzo e portate via, nei depositi, per poi diventare in futuro la parte più importante della stazione museo di piazza Municipio, quando il progetto di Siza sarà terminato. Ma sarà così? Le ruspe di ieri con gli operai che spicconavano e le macerie sul terreno, non lasciano molte speranze che ci si trovi di fronte a un delicato lavoro di catalogazione e archiviazione, pietra per pietra. Sembra piuttosto lo stesso abbattimento che avviene per la più becera costruzione abusiva. Speriamo di sbagliarci. «Sono mura ottocentesche». Ma l’operaio con la casacca gialla sta spicconando proprio sui bastioni. Quelli di sicuro sono aragonesi.
Ieri uno scheletro di età imperiale è affiorato all’incrocio tra Via Egiziaca a Forcella ed il Corso Umberto (guarda il video di Antonio Cangiano), dove si sta realizzando la camera di ventilazione della Linea 1 del metrò. «Nella zona – ha detto la funzionaria della Soprintendenza Archeologica Daniela Giampaolo, responsabile degli Scavi nel Centro storico – è stata individuata una necropoli romana databile tra il III ed il II secolo dopo Cristo, collocata fuori dalla cinta muraria dell’antica Neapolis, i cui resti si trovano a Piazza Calenda. Sono una decina le tombe finora individuate ed altrettanti gli scheletri recuperati».
Autore:Vincenzo Esposito
Fonte: Corriere del Mezzogiorno, 08 maggio 2013