Svastiche spruzzate con lo spray, focolari illegali, un muro crollato e tronchi inseriti a forza nelle strutture archeologiche.
Questa la brutta sorpresa che si sono trovati di fronte i volontari del Gruppo Archeologico Torinese in questi giorni, quando hanno accompagnato a Bric San Vito un gruppo di persone a visitare il sito archeologico nell’ambito dell’iniziativa “Gran Tour”.
Vittima dei vandali è uno dei luoghi più importanti nella memoria delle popolazioni celtiche in Piemonte. I volontari lanciano l’allarme con una lettera al Comune, alla Soprintendenza e ai Carabinieri del Nucleo tutela del patrimonio.
«Sono i giochi di guerra a ridurre così i resti archeologici – denunciano dal Gat – Sono persone ignoranti, come si vede anche dall’immondizia lasciata tutt’attorno, mentre prima non c’era».
I ciottoli rimossi hanno provocato diversi crolli lungo il perimetro della struttura. A essere particolarmente colpita è la torre più grande, fulcro dei giochi militareschi. L’angolo nord ovest è crollato; i tronchi inseriti nella muratura servivano probabilmente ai vandali come riparo dalle loro imboscate. All’esterno della stessa torre è tracciata una grossa svastica con spray rosso.
Un’altra compare sulle pietre, prese dalle murature del sito, messe a cerchio per costruire fuochi abusivi, vietati dal regolamento di polizia forestale.
«Per l’accensione di fuochi nei boschi le multe possono arrivare fino a 500 euro. In più, in questo caso, scatta la denuncia penale e si procede al risarcimento dei danni per il danneggiamento di un sito archeologico – mette in chiaro Cosimo Calò, capo dei carabinieri di Pecetto – Da parte nostra ci siamo attivati per andare a controllare. Almeno due volte a settimana siamo sul sito».
Ai controlli delle pattuglie si affiancano quelli degli Alpini, che periodicamente si occupano della manutenzione del luogo.
Una zona difficile da difendere perché in un bosco isolato, bisogna conoscerlo per arrivarci.
In un certo senso si difende da sé, almeno fino ad ora.
«Recintare l’area avrebbe poco senso – interviene il sindaco Adriano Pizzo – Mettere transenne avrebbe l’effetto contrario a quello di detenere i possibili avventori. Lo stesso vale per la cartellonistica con i divieti: servono a poco».
Si sprecherebbero dei soldi anche a installare telecamere, troppo facili da rompere. In un luogo così isolato e lontano dalla centralina non riuscirebbero inoltre a trasmettere il segnale video. Dai filmati notturni, poi, non si riuscirebbe a vedere che sagome nere. Tralasciare le misure deterrenti e provare con momenti di sensibilizzazione dei cittadini, a partire dai più giovani, sul valore del sito di Mons Pheratus?
«Ogni anno facciamo la passeggiata nel bosco, con la rivisitazione storica del gruppo folkloristico: l’evento ha proprio questo scopo. Così come portare le scuole alla mostra allestita alla chiesetta dei Batù».
E conclude: «La prossima settimana abbiamo appuntamento sul posto con la Soprintendenza per capire come intervenire a seguito di questi ultimi eventi».
Una soluzione concertata tra le parti interessate alla tutela del sito è proprio quello che auspica il gruppo degli archeologi, che addossa la responsabilità del degrado del sito a coloro che lo frequentano: «Persone troppo sovente dotate di scarso o nullo senso civico – commenta Fabrizio Diciotti, consigliere del Gat – Non si possono addossare colpe particolari al Comune o alla Soprintendenza che, con gli scarsissimi fondi a disposizione, fanno quello che possono».
Dal bracciale dei Taurisci al forte di pietra medievale.
Un viaggio nel tempo di 2500 anni. Questo è il sito archeologico di Bric San Vito, uno dei luoghi più densi di storia in Piemonte. Non è facile trovare un luogo di cui si possa raccontare un periodo così lungo. Dalle pietre del Mons Pheratus affiorano la civiltà celtica, i conquistatori da Roma, il Medioevo.
Solo in alcune epoche però il bricco è centro di un’attività più intensa. Protostoria e Medioevo sono i due periodi in cui il sito aumenta di importanza: è in queste due età che l’uomo abita le alture.
Gran parte dei reperti ritrovati nel sito durante scavi iniziati nel 1991 fa riferimento proprio a questi periodi.
In quell’anno i volontari del Gat scoprono il sito nei pressi dell’eremo dei Camaldolesi. Tutto parte da una ricerca di toponomastica, secondo cui si ipotizzava che ci fosse sul Bric della Croce un insediamento scomparso nel basso medioevo. Dalle ricognizioni i soci del Gat appurano invece che il sito si trova sull’altura vicina, il Bric San Vito.
I muri che emergevano dalla boscaglia erano noti, però si pensava fossero dell’antica chiesa del borgo di Monspharatus, dedicata a San Vito. Oggi invece si sa che si tratta di una fortificazione medievale e che tutt’attorno affiora l’abitato dei celti Taurisci.
La Soprintendenza decide quindi di ampliare gli scavi nel ’94 e negli anni successivi. Del 2008 è l’uscita del volume “Taurini sul confine”, con i risultati delle ricerche.
I reperti hanno aggiunto informazioni sui flussi migratori dei celti: un braccialetto in bronzo del IV-III secolo a. C., della stessa fattura di un monile dei Balcani, ha fatto luce sulla diffusione della famiglia dei Taurisci, arrivati qui durante l’età del ferro dalle aree transalpine nord occidentali. Uno dei reperti più interessanti di epoca medievale è invece una curiosa pedina da scacchi, oggi esposta la Museo d’Antichità del capoluogo.
Autore: Chiara Paolillo
Fonte: Il Corriere di Chieri, 5 lug 2013