Nel corso dei secoli intere foreste sono state distrutte per costruire oggetti atti alla navigazione, dal tronco scavato ai galeoni alla nave scuola ‘Amerigo Vespucci’ varata a Catellammare di Stabia il 22 febbraio 1931. Secoli di storia si sono accumulati sul mare per trasporti, guerre, esplorazioni; un intrigante percorso ripieno di tragedie freddamente documentate dai libri. Dai vichinghi alle potenze marinare di Venezia e Genova.
Il popolo nordico solcava i mari per espandersi. Nell’VIII/IX secolo erano arrivati nella Britannia e in Irlanda con intenti bellicosi tanto che i pochi abitanti preferirono emigrare anziché sottostare al giogo dei nuovi venuti. Più tardi sbarcarono intere famiglie con masserizie, bestiame e utensili per costruire nuovi pacifici insediamenti. Le forme snelle delle loro navi avevano estremità con punte adatte all’approdo, erano senza vele e neppure i remi erano fissati lungo le fiancate ma spostabili in base alle esigenze della navigazione (qualche esemplare di nave vichinga è stato ritrovato, in legno di quercia, lungo 23 metri). Quando moriva un capo clan, insieme alle armi e ai trofei anche la sua barca lo seguiva e ciò sottolinea quanto quel popolo desse importanza al mare e alle sue possibilità.
Nel tempo i progetti primitivi migliorarono notevolmente tanto da essere considerati i migliori in assoluto, in particolare quando fu introdotto l’uso della vela rettangolare montata su un albero alto più di 10 metri e i remi sfilavano in piccole aperture praticate sui fianchi (quando una nave si avvicinava al porto usavano coprire queste aperture con scudi multicolori per farsi riconoscere). Esperti navigatori, gli uomini del nord (Normanni), si spinsero in Islanda, Groenlandia, nel Mediterraneo e – si presume – siano stati i primi ‘scopritori’ delle coste americane. La navigazione notturna era guidata dalle stelle, quella diurna da una specie di meridiana che indicava – con l’ombra dello gnomone – la giusta rotta. Probabilmente uno dei primi tentativi di trasporto via acqua usava il sistema della zattera, una serie di tronchi fissati insieme con corde vegetali, con il conseguente uso del remo-timone una lunga pertica libera che permetteva di modificare la direzione quando ancora non esisteva lo scafo vero e proprio insieme ai termini ‘prua-poppa’ ‘opera viva / opera morta’. Alcune civiltà primitive come i polinesiani usavano il ‘bilanciere’ per mantenere l’assetto del natante, ossia uno o due galleggianti laterali, predecessore in un certo senso dei moderni catamarani.
Le antiche testimonianze dei graffiti egizi mostrano realizzazioni diverse, dall’attrezzatura al modello, dalla nave da guerra a quella funeraria a quelle per le cerimonie sacre. Inizialmente costituite da fasci di papiri collegati fino a formare la forma voluta, intorno al 2200 a.C. apparvero in Egitto le imbarcazioni in legno. L’ancora, necessaria per diminuire l’andatura in presenza di correnti, era una semplice pietra antesignana di quella più evoluta. Le navi delle dinastie faraoniche erano assemblate con il cedro del Libano, vivacemente colorato come ancora oggi si può ammirare nelle tombe della Valle dei Re.
I Fenici – considerati i precursori della tecnica navale – costruivano navi con chiglia e fasciame così come i Greci montavano sul ponte un ‘cassero e un castello’ (le testimonianze sono riprodotte sui vasi ritrovati dagli archeologi). Romani e Cartaginesi usavano nelle battaglie navi con centinaia di rematori e guerrieri. Le usavano anche per trasportare migliaia di anfore onerarie come i molti reperti disseminati nella penisola dimostrano. I traffici commerciali in aumento richiesero l’allestimento di navigli sempre più capienti; quindi i mercanti genovesi e veneziani si attivarono per averne a disposizione un copioso numero per attraversare il Mediterraneo e per arrivare al Nord dell’Europa; inoltre, ad incrementare il traffico marittimo furono i predoni del mare, la grande richiesta di trasbordo per le numerose Crociate e la scoperta dell’America.
Autore: Giuliano.confalonieri@alice.it