Abbandono e incuria per l’antico Faro romano di Cuma, nel comune di Bacoli in provincia di Napoli. La struttura risalente al I secolo a.C. giace tra rovi, erbacce e numerosi preservativi.
ARCHEO-BORDELLO – «Anziché per finalità turistico-ricettive, il sito archeologico flegreo è utilizzato per meri scopi di svago e baldoria» è il commento amaro di Josi Gerardo Della Ragione, attivista di Freebacoli, associazione da anni attiva circa la tutela dei beni storici e paesaggistici del comune flegreo.
«Gravissime anche in tal senso le responsabilità di Comune e Soprintendenza – prosegue Della Ragione – che ben conoscono la situazione ma non fanno un bel nulla».
UN PO’ DI STORIA – In gran parte interrato per il fenomeno del bradisismo, il faro di Cuma è una preziosa testimonianza dei porti dell’antica Kyme, ancora sconosciuti. Dionisio di Alicarnasso, ricordando il ritorno di Aristodemo dopo la vittoria di Aricia sugli Etruschi del 505 a.C., afferma che «entrò con le navi nei porti di Cuma» e ciò potrebbe far supporre che Cuma disponesse di più di un porto. Parzialmente nascosto da un fitto bosco, al confine con l’area dunare, la specola, databile all’ultimo quarto del I sec. a. C., è alta circa otto metri. Da studi recenti potrebbe rappresentare un piccolo faro di segnalazione posto presso il canale d’entrata al porto.
Fonte: Corriere del Mezzogiorno.it, 6 set 2012