Tra Pompei ed Ercolano c’è una distanza di circa quindici chilometri. Ma la distanza di civiltà, di cura, di attenzione alle vestigia del passato e insieme al buon uso delle risorse è abissale, a favore di Ercolano. È la smentita di un luogo comune e di un pregiudizio: quello secondo cui i privati siano dei predatori che vogliono far merce dei nostri tesori artistici mentre lo Stato, il pubblico è il titolare dell’interesse generale e del bene comune.
DISCREPANZE ABISSALI – La differenza è ampiamente documentata da un articolo di Claudio Pappaianni sull’Espresso. Pompei è dominio di un branco di cani randagi. Per gli scavi sono stati stanziati e spesi oltre 80 milioni di fondi pubblici strappati dal commissario Marcello Fiori, con risultati pressoché nulli. Le infiltrazioni continuano a massacrare le costruzioni già funestate da crolli. Il terreno è ricoperto di detriti. L’incuria è totale: si è staccato persino il telone bianco che dovrebbe ricoprire le macerie della Schola Armaturarum. Il personale che lavora è assente, pigro, pletorico, costoso, di frequente in sciopero. Come era Hercolaneaum fino a una decina di anni fa, quando molte case erano puntellate e inaccessibili. Dove oggi è stato “messo in sicurezza l’intero patrimonio”. “Affreschi e mosaici sono al riparo dal guano dei piccioni”. L’ottanta per cento degli edifici “è stato dotato di coperture”. Una decina di case “sono diventate visitabili”. Le acque piovane “sono state canalizzate” e “il sistema fognario è stato ripristinato”. Perfino le toilette sono pulite per gli oltre 300 mila visitatori all’anno, “le informazioni sono chiare e il personale è cortese”. Un miracolo? No, una scelta.
PASSIONE PER L’ARCHEOLOGIA – È accaduto che nel 2000 David W. Packard, “l’erede dell’impero informatico di Palo Alto”, appassionato di letteratura classica e di archeologia ottiene dalla Soprintendenza di Ercolano (la stessa di Pompei) l’autorizzazione a investire cifre ragguardevoli per la manutenzione di Ercolano. La passione che muove Packard non è il lucro finanziario, ma il desiderio di legare il proprio nome al salvataggio di un patrimonio culturale dell’umanità. Con 16 milioni di euro e uno staff di giovani collaboratori tutti più o meno sotto i quarant’anni, Packard crea e finanzia l'”Hercolaneum Conservation Project” con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei.
LA RINASCITA DI ERCOLANO – I risultati sono sotto gli occhi di tutto: a Pompei il degrado, distruzione, crolli e abbandono; a Ercolano la rinascita, la manutenzione, la conservazione intelligente di un bene immenso. Potrebbe essere un esempio. Un colpo alla pigrizia di chi chiede solo elargizioni dello Stato e non coinvolge i privati, la borghesia “diffusa” animata da spirito civico e comunitario o anche solo da ambizione mecenatesca, nella difesa di tanti palazzi, chiese, conventi, teatri, passeggiate archeologiche, monumenti del passato costretti a languire nell’incuria di uno Stato ormai senza risorse. A Pompei, non ad Ercolano.
DISCREPANZE ABISSALI – La differenza è ampiamente documentata da un articolo di Claudio Pappaianni sull’Espresso. Pompei è dominio di un branco di cani randagi. Per gli scavi sono stati stanziati e spesi oltre 80 milioni di fondi pubblici strappati dal commissario Marcello Fiori, con risultati pressoché nulli. Le infiltrazioni continuano a massacrare le costruzioni già funestate da crolli. Il terreno è ricoperto di detriti. L’incuria è totale: si è staccato persino il telone bianco che dovrebbe ricoprire le macerie della Schola Armaturarum. Il personale che lavora è assente, pigro, pletorico, costoso, di frequente in sciopero. Come era Hercolaneaum fino a una decina di anni fa, quando molte case erano puntellate e inaccessibili. Dove oggi è stato “messo in sicurezza l’intero patrimonio”. “Affreschi e mosaici sono al riparo dal guano dei piccioni”. L’ottanta per cento degli edifici “è stato dotato di coperture”. Una decina di case “sono diventate visitabili”. Le acque piovane “sono state canalizzate” e “il sistema fognario è stato ripristinato”. Perfino le toilette sono pulite per gli oltre 300 mila visitatori all’anno, “le informazioni sono chiare e il personale è cortese”. Un miracolo? No, una scelta.
PASSIONE PER L’ARCHEOLOGIA – È accaduto che nel 2000 David W. Packard, “l’erede dell’impero informatico di Palo Alto”, appassionato di letteratura classica e di archeologia ottiene dalla Soprintendenza di Ercolano (la stessa di Pompei) l’autorizzazione a investire cifre ragguardevoli per la manutenzione di Ercolano. La passione che muove Packard non è il lucro finanziario, ma il desiderio di legare il proprio nome al salvataggio di un patrimonio culturale dell’umanità. Con 16 milioni di euro e uno staff di giovani collaboratori tutti più o meno sotto i quarant’anni, Packard crea e finanzia l'”Hercolaneum Conservation Project” con la collaborazione della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Napoli e Pompei.
LA RINASCITA DI ERCOLANO – I risultati sono sotto gli occhi di tutto: a Pompei il degrado, distruzione, crolli e abbandono; a Ercolano la rinascita, la manutenzione, la conservazione intelligente di un bene immenso. Potrebbe essere un esempio. Un colpo alla pigrizia di chi chiede solo elargizioni dello Stato e non coinvolge i privati, la borghesia “diffusa” animata da spirito civico e comunitario o anche solo da ambizione mecenatesca, nella difesa di tanti palazzi, chiese, conventi, teatri, passeggiate archeologiche, monumenti del passato costretti a languire nell’incuria di uno Stato ormai senza risorse. A Pompei, non ad Ercolano.
Autore: Pierluigi Battista
Fonte: Corriere del Mezzogiorno, 24/07/2012