Una visione davvero fuori dal comune, per la loro collocazione, si è offerta, alcuni giorni fa, allo spettatore non esperto, in pieno centro di Trieste, in prossimità di “Cittavecchia”: oltre 100 anfore romane, risalenti al I secolo d.C., alcune intatte, altre semidistrutte, ammassate in due file sovrapposte, sopra un muro di contenimento. E’ questo l’ultimo regalo degli scavi archeologici preventivi, prescritti dalla Soprintendenza, nell’ambito della realizzazione del Park San Giusto, a Trieste, un parcheggio per oltre di 700 posti auto, che buca il colle di San Giusto, sopra le cui pendici si estendeva l’antica città romana.
Un “muro di anfore”, dunque, contenitori di olio o di vino che una volta usati, non potevano essere riciclati allo stesso uso e quindi venivano buttati oppure utilizzati per altri scopi. In questo caso le anfore, già poste sottoterra in età romana, sono state riciclate, secondo una tecnica edilizia nota anche in altre zone della pianura, per trattenere le acque piovane o le alte maree e per evitare, quindi, ristagni di acqua nel terreno. Siamo infatti in prossimità della strada costiera che correva, pressappoco, sotto l’attuale via del Teatro romano.
Il rinvenimento è avvenuto nell’ambito di una nuova indagine archeologica, sempre in continuità con quelle dei mesi precedenti, che ha messo in evidenza un ulteriore settore di sistemazione di un vasto spazio aperto, di destinazione ancora ignota ma probabilmente pubblica: nelle immediate vicinanze si è intravista anche l’abside di un edificio, che proseguiva nell’area non scavata, affacciato su un piazzale lastricato.
“Le anfore rinvenute in questa occasione, dice l’archeologa Paola Ventura, responsabile per la Soprintendenza della direzione scientifica, sono tutte dello stesso tipo, contenitori per olio, tipici della penisola istriana. Molte di esse portano, ancora leggibile, il nome del produttore che ci aiuterà a localizzare, con maggiore certezza, l’area di fabbricazione. Nel settore scavato in precedenza, invece, sono stati riconosciuti anche altri tipi di diversa provenienza: adriatica, dall’Egeo e dall’antica Tripolitania (Libia). Tutte, comunque, databili nel I secolo dopo Cristo”.
Un utilizzo secondario delle anfore che si affianca a quello che le vede impiegate come tombe, in epoca tardo antica, in molte aree della città: alcuni esempi si sono visti anche negli scavi del Park S. Giusto, dove sono stati trovati due adulti ed un bambino, i cui scheletri sono stati affidati a specialisti dell’Università degli Studi di Udine per l’analisi scientifica.
Resta più raro per Trieste il rinvenimento di un drenaggio di anfore, anche se un “deposito di anfore”, probabilmente molto simile se non la prosecuzione di questo, era stato segnalato negli anni ’50 durante la costruzione della scalinata di S. Maria Maggiore.
Come tutte le città antiche sepolte, la Tergeste romana continua, dunque, a stupire grazie agli scavi effettuati ad hoc o a quelli effettuati occasionalmente per la realizzazione di opere pubbliche o private. Non tutto si riesce a riportare alla luce e a valorizzare, anche se il terreno contiene ancora molti resti. Proprio ieri, nel corso di un incontro fra la Soprintendenza, il Comune di Trieste, i rappresentanti della Società Park S. Giusto s.p.a. e dell’Impresa Archeotest, che esegue gli scavi, si sono valutate le possibilità per proseguire nelle indagini, senza bloccare in maniera indefinita i lavori, salvaguardare i reperti e progettare soluzioni compatibili per restituire alla visione almeno una parte di quanto è stato trovato.
Un “muro di anfore”, dunque, contenitori di olio o di vino che una volta usati, non potevano essere riciclati allo stesso uso e quindi venivano buttati oppure utilizzati per altri scopi. In questo caso le anfore, già poste sottoterra in età romana, sono state riciclate, secondo una tecnica edilizia nota anche in altre zone della pianura, per trattenere le acque piovane o le alte maree e per evitare, quindi, ristagni di acqua nel terreno. Siamo infatti in prossimità della strada costiera che correva, pressappoco, sotto l’attuale via del Teatro romano.
Il rinvenimento è avvenuto nell’ambito di una nuova indagine archeologica, sempre in continuità con quelle dei mesi precedenti, che ha messo in evidenza un ulteriore settore di sistemazione di un vasto spazio aperto, di destinazione ancora ignota ma probabilmente pubblica: nelle immediate vicinanze si è intravista anche l’abside di un edificio, che proseguiva nell’area non scavata, affacciato su un piazzale lastricato.
“Le anfore rinvenute in questa occasione, dice l’archeologa Paola Ventura, responsabile per la Soprintendenza della direzione scientifica, sono tutte dello stesso tipo, contenitori per olio, tipici della penisola istriana. Molte di esse portano, ancora leggibile, il nome del produttore che ci aiuterà a localizzare, con maggiore certezza, l’area di fabbricazione. Nel settore scavato in precedenza, invece, sono stati riconosciuti anche altri tipi di diversa provenienza: adriatica, dall’Egeo e dall’antica Tripolitania (Libia). Tutte, comunque, databili nel I secolo dopo Cristo”.
Un utilizzo secondario delle anfore che si affianca a quello che le vede impiegate come tombe, in epoca tardo antica, in molte aree della città: alcuni esempi si sono visti anche negli scavi del Park S. Giusto, dove sono stati trovati due adulti ed un bambino, i cui scheletri sono stati affidati a specialisti dell’Università degli Studi di Udine per l’analisi scientifica.
Resta più raro per Trieste il rinvenimento di un drenaggio di anfore, anche se un “deposito di anfore”, probabilmente molto simile se non la prosecuzione di questo, era stato segnalato negli anni ’50 durante la costruzione della scalinata di S. Maria Maggiore.
Come tutte le città antiche sepolte, la Tergeste romana continua, dunque, a stupire grazie agli scavi effettuati ad hoc o a quelli effettuati occasionalmente per la realizzazione di opere pubbliche o private. Non tutto si riesce a riportare alla luce e a valorizzare, anche se il terreno contiene ancora molti resti. Proprio ieri, nel corso di un incontro fra la Soprintendenza, il Comune di Trieste, i rappresentanti della Società Park S. Giusto s.p.a. e dell’Impresa Archeotest, che esegue gli scavi, si sono valutate le possibilità per proseguire nelle indagini, senza bloccare in maniera indefinita i lavori, salvaguardare i reperti e progettare soluzioni compatibili per restituire alla visione almeno una parte di quanto è stato trovato.
Info:
Soprintendenza per i Beni Archeologici del Friuli Venezia Giulia
Viale Miramare 9 – Trieste
e-mail: carmelina.rubino@beniculturali.it
Tel 040-4261442
Fonte: Soprintendenza per i Ben Archeologici del FVG