Per almeno altri tre anni non riavremo la Domus Aurea: l’immensa casa di Nerone, che occupava la vallata tra Colle Oppio e Palatino (dove è il Tempio di Venere e Roma che era il suo vestibolo), non si potrà visitare almeno fino al 2014.
«Bisogna prima evitare altri crolli e salvarla», spiega il direttore generale per l’Archeologia del ministero, Luigi Malnati, «e saranno adottate tecnologie avanzate, inedite, assai sofisticate. Siamo appena ai progetti preliminari e sperimentali: quando saranno stati realizzati e dopo che saranno stati verificati, si potrà decidere, ma soltanto allora, che strada adottare e che interventi realizzare».
Dottor Malnati, per favore, si spieghi meglio.
«I comitati di settore congiunti, cioè la massima istanza tecnico-scientifica del dicastero, hanno deciso di testare un progetto della soprintendenza, e uno del commissario Luciano Marchetti e dell’ingegner Giorgio Croci».
Ma si parlava anche dell’archeologo Andrea Carandini.
«Realizzato il consolidamento, avrà un ruolo di consulente per la sistemazione definitiva dell’area».
E prima: che si è fatto e che c’è da fare?
«Il problema, lo sanno tutti, è che piove dentro. Finora sono state impermeabilizzate due vaste sale. Ma delle volte sono ridotte a veli di calce e i muri sono tutti impregnati di umidità. Non si può lavorare da sotto. Occorre rendere più lieve il peso di quanto è sopra alla Domus, e le Terme di Traiano non si possono toccare. Né si può pensare a una impermeabilizzazione totale: il sito è troppo vasto».
E allora?
«Testeremo il progetto Croci-Marchetti su un quarto della Domus: prevede una copertura a intelaiatura che poggi sulle strutture della Domus. Quello della soprintendenza non è ancora definitivo, ma agisce meno sulle strutture; rende impermeabile il piano delle Terme, vi sovrappone uno strato di terra. Vanno salvati anche i profili altimetrici. Dopo che saranno stati realizzati i due interventi, i comitati congiunti decideranno quale tra loro andrà adottato».
Ma è trascorso un sacco di tempo dacché la Domus è stata chiusa: monumento effimero, aperto per pochissimo. Che cosa è stato fatto intanto?
«Sono state puntellate le volte di magazzini comunali, che erano in crollo: con una soluzione provvisoria, che non si può accettare. Ci si è accorti che la terra, di cui altri ambulacri sono riempiti, spinge lateralmente le murature. Sono state esaminate le pareti, umide, con gli affreschi. E si è capito che, consolidato il tutto, va garantito il microclima, costante e analogo a quello di oggi; se no, le malte, bagnatissime, si seccano e si creano fratture. Il luogo è un vero colabrodo, e questi restauri sono assai delicati, richiedono molta calma e tantissimo tempo».
C’è chi parla di una spesa lievitata da 20 a 50 milioni di euro, e di tre super-ascensori previsti.
«Di quattrini ne servono molti, e certamente non ce ne sono a sufficienza; per la sistemazione definitiva c’è ancora tanto tempo, e si potrà pensarci sopra. Lo ripeto: siamo a un livello estremamente embrionale. A ottobre, i comitati congiunti esamineranno i due progetti, e forse solo allora avremo le idee più chiare, perfino sul da farsi. Si creerà un’intercapedine, una sorta di cupola che garantisca il clima. Forse, è un intervento perfino inedito».
«Bisogna prima evitare altri crolli e salvarla», spiega il direttore generale per l’Archeologia del ministero, Luigi Malnati, «e saranno adottate tecnologie avanzate, inedite, assai sofisticate. Siamo appena ai progetti preliminari e sperimentali: quando saranno stati realizzati e dopo che saranno stati verificati, si potrà decidere, ma soltanto allora, che strada adottare e che interventi realizzare».
Dottor Malnati, per favore, si spieghi meglio.
«I comitati di settore congiunti, cioè la massima istanza tecnico-scientifica del dicastero, hanno deciso di testare un progetto della soprintendenza, e uno del commissario Luciano Marchetti e dell’ingegner Giorgio Croci».
Ma si parlava anche dell’archeologo Andrea Carandini.
«Realizzato il consolidamento, avrà un ruolo di consulente per la sistemazione definitiva dell’area».
E prima: che si è fatto e che c’è da fare?
«Il problema, lo sanno tutti, è che piove dentro. Finora sono state impermeabilizzate due vaste sale. Ma delle volte sono ridotte a veli di calce e i muri sono tutti impregnati di umidità. Non si può lavorare da sotto. Occorre rendere più lieve il peso di quanto è sopra alla Domus, e le Terme di Traiano non si possono toccare. Né si può pensare a una impermeabilizzazione totale: il sito è troppo vasto».
E allora?
«Testeremo il progetto Croci-Marchetti su un quarto della Domus: prevede una copertura a intelaiatura che poggi sulle strutture della Domus. Quello della soprintendenza non è ancora definitivo, ma agisce meno sulle strutture; rende impermeabile il piano delle Terme, vi sovrappone uno strato di terra. Vanno salvati anche i profili altimetrici. Dopo che saranno stati realizzati i due interventi, i comitati congiunti decideranno quale tra loro andrà adottato».
Ma è trascorso un sacco di tempo dacché la Domus è stata chiusa: monumento effimero, aperto per pochissimo. Che cosa è stato fatto intanto?
«Sono state puntellate le volte di magazzini comunali, che erano in crollo: con una soluzione provvisoria, che non si può accettare. Ci si è accorti che la terra, di cui altri ambulacri sono riempiti, spinge lateralmente le murature. Sono state esaminate le pareti, umide, con gli affreschi. E si è capito che, consolidato il tutto, va garantito il microclima, costante e analogo a quello di oggi; se no, le malte, bagnatissime, si seccano e si creano fratture. Il luogo è un vero colabrodo, e questi restauri sono assai delicati, richiedono molta calma e tantissimo tempo».
C’è chi parla di una spesa lievitata da 20 a 50 milioni di euro, e di tre super-ascensori previsti.
«Di quattrini ne servono molti, e certamente non ce ne sono a sufficienza; per la sistemazione definitiva c’è ancora tanto tempo, e si potrà pensarci sopra. Lo ripeto: siamo a un livello estremamente embrionale. A ottobre, i comitati congiunti esamineranno i due progetti, e forse solo allora avremo le idee più chiare, perfino sul da farsi. Si creerà un’intercapedine, una sorta di cupola che garantisca il clima. Forse, è un intervento perfino inedito».
Autore:
Fabio IsmanFonte: Il Messaggero.it, 8 luglio 2011