Resti di rilievo archeologico sono venuti alla luce nel giardino di villa Martinengo, nel borgo manzanese di Soleschiano. Durante un oneroso intervento di riqualificazione dell’ area verde, che circonda la dimora storica, sono stati scoperti i resti di un imponente manufatto, con tutta probabilità di epoca preromana, prima nascosti da terra e vegetazione.
Il recente rinvenimento non ha ancora offerto gli studiosi il tempo utile per ricostruire con precisione funzioni ed età del manifatto originario, resta tuttavia eccezionale il ritrovamento, poiché – come rileva il padrone di casa, ovvero il conte Filippo Martinengo, che ci ha permesso di vedere in anteprima i resti – «attesta l’e sistenza di un insediamento nel borgo di Soleschiano ancor prima dei romani. Cosa che, fino a oggi, non sapevamo».
E non sapevano, i proprietari della villa, che sotto le colonne portate da Aquileia al borgo di Manzano, sul far dell’Ottocento, dal conte Brazzà si nascondesse qualcos’altro. Si vedevano un accenno di arco sovrastato dalle colonne aquileiesi, ma nient’a ltro. Nessuno poteva immaginare che sotto vi fosse il frammento di un edificio così ben conservato come quello portato alla luce durante l’intervento sul giardino, che nel frattempo prosegue e che in futuro consentirà ai visitatori di accedere al parco della villa, naturalmente in determinate occasioni.
Dalla spianata verde che anticipa, trionfale, l’accesso alla dimora storica, il conte – 85 anni portati con nonchalance – ci ha accolti in casa e passando dal salone centrale, con soffitti alti diversi metri e pezzi d’antiquariato se non già di vera e propria archeologia come nel caso di un’ara etrusca, ci ha condotti fin dentro il suo studio, colmo di pregevoli volumi e antiche carte d’a rchivio. A pochi passi il giardino, con i suoi misteri.
L’abbiamo scoperto poco dopo, seguendo il conte e il suo fedelissimo setter irlandese nel fitto della vegetazione. Lasciata la villa sulla destra, a poche centinaia di metri, alberi e piante lasciano d’un tratto lasciato spazio alla sapienza artigiana dell’u omo: sotto le colonne “di Brazzà” e l’arco romano l’area ripulita dal verde rivela oggi un segmento di edificio imponente, il cui piano si trova oltre due metri più in basso di quello attuale ed ha una forma lievemente concava, «indice che forse – azzarda il conte – poteva contenere dell’acqua come nel caso delle terme».
Vi è poi, ben conservato, ingresso alla struttura, forte di ben 18 scalini che scendono giù fino al piano dove si trovano un paio di colonne, di forma irregolare (di qui l’ipotesi di una costruzione di epoca preromana), quindi l’arco, che originariamente doveva condurre a un secondo ambiente. «La Soprintendenza ha subito provveduto a consolidare le pareti del manufatto (realizzate in grossi e scultorei blocchi di pietra del peso di diversi chili l’u no), per poi esaminare il da farsi – conclude il conte – e cercare di circostanziare l’incredibile ritrovamento».
Il recente rinvenimento non ha ancora offerto gli studiosi il tempo utile per ricostruire con precisione funzioni ed età del manifatto originario, resta tuttavia eccezionale il ritrovamento, poiché – come rileva il padrone di casa, ovvero il conte Filippo Martinengo, che ci ha permesso di vedere in anteprima i resti – «attesta l’e sistenza di un insediamento nel borgo di Soleschiano ancor prima dei romani. Cosa che, fino a oggi, non sapevamo».
E non sapevano, i proprietari della villa, che sotto le colonne portate da Aquileia al borgo di Manzano, sul far dell’Ottocento, dal conte Brazzà si nascondesse qualcos’altro. Si vedevano un accenno di arco sovrastato dalle colonne aquileiesi, ma nient’a ltro. Nessuno poteva immaginare che sotto vi fosse il frammento di un edificio così ben conservato come quello portato alla luce durante l’intervento sul giardino, che nel frattempo prosegue e che in futuro consentirà ai visitatori di accedere al parco della villa, naturalmente in determinate occasioni.
Dalla spianata verde che anticipa, trionfale, l’accesso alla dimora storica, il conte – 85 anni portati con nonchalance – ci ha accolti in casa e passando dal salone centrale, con soffitti alti diversi metri e pezzi d’antiquariato se non già di vera e propria archeologia come nel caso di un’ara etrusca, ci ha condotti fin dentro il suo studio, colmo di pregevoli volumi e antiche carte d’a rchivio. A pochi passi il giardino, con i suoi misteri.
L’abbiamo scoperto poco dopo, seguendo il conte e il suo fedelissimo setter irlandese nel fitto della vegetazione. Lasciata la villa sulla destra, a poche centinaia di metri, alberi e piante lasciano d’un tratto lasciato spazio alla sapienza artigiana dell’u omo: sotto le colonne “di Brazzà” e l’arco romano l’area ripulita dal verde rivela oggi un segmento di edificio imponente, il cui piano si trova oltre due metri più in basso di quello attuale ed ha una forma lievemente concava, «indice che forse – azzarda il conte – poteva contenere dell’acqua come nel caso delle terme».
Vi è poi, ben conservato, ingresso alla struttura, forte di ben 18 scalini che scendono giù fino al piano dove si trovano un paio di colonne, di forma irregolare (di qui l’ipotesi di una costruzione di epoca preromana), quindi l’arco, che originariamente doveva condurre a un secondo ambiente. «La Soprintendenza ha subito provveduto a consolidare le pareti del manufatto (realizzate in grossi e scultorei blocchi di pietra del peso di diversi chili l’u no), per poi esaminare il da farsi – conclude il conte – e cercare di circostanziare l’incredibile ritrovamento».
Autore: Maura Delle Case
Fonte: Messaggero Veneto, 06-05-2010