All’apertura dell’arca, in occasione dell’inizio dei lavori di restauro, si è scoperto che la cassa conteneva numerose ossa appartenenti a diversi corpi umani, nessuno dei quali in connessione anatomica. Durante il pomeriggio di studio alla Casa Matha, Maria Grazia Maioli, direttore del Centro Operativo di Ravenna della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, ha descritto il sarcofago chiarendo che è composto da una cassa e da un coperchio fabbricati in due epoche diverse, l’una antica, l’altro altomedievale.
Nei primi anni del Cinquecento i due pezzi furono assemblati per contenere le spoglie di Martino Strozzi. Come chiarito nell’intervento di Paola Novara e Graziano Scandurra, archeologi ravennati, Martino Strozzi o Astozi visse nella seconda metà del Quattrocento e, oltre a svolgere la professione notarile, coprì diverse cariche politiche. Ebbe due mogli, la prima delle quali era la sorella del celebre uomo d’armi Guidarello Guidarelli, che non dimenticò il cognato Martino, e il figlio di lui Fabio Massimo, nel testamento dettato nei giorni di agonia che ne precedettero la prematura morte.
Quanto esposto nel pomeriggio di studio della Casa Matha è una sintesi di studi ancora in corso. Ulteriori ricerche, come ad esempio l’individuazione del DNA dei resti, permetterranno di riconoscere i corpi appartenenti alla stessa famiglia. Altre ricerche, come ad esempio l’analisi delle Visite Pastorali, vale a dire le descrizioni delle chiese della diocesi che seguivano le visite effettuate dagli arcivescovi nei secoli XVI-XVIII, permetteranno di scoprire se il sarcofago Strozzi fosse stato collocato ab origine nella piazzetta degli Ariani, dove è documentato sin dall’Ottocento.
Fonte: RavennaNotizie.it, 23 aprile 2009