Fortuna e rovina del “porto” romano di Pagliano. Le vicende alterne di un sito archeologico.
Il sito archeologico di Pagliano, nei pressi di Orvieto (TR), si trova in una zona particolarmente interessante, alla confluenza del fiume Tevere con il fiume Paglia, una posizione quasi strategica, che, per parte del Tevere, lo mette in comunicazione con Roma ed il Lazio, per parte del Paglia, con tutta la zona interna del territorio degli Umbri. Le aree tutte intorno presentano testimonianze collocabili cronologicamente in un arco temporale vasto, dalla tarda età ellenistica alla piena età imperiale. Al centro di tutto questo si trova Pagliano: un’area intensamente abitata e con forti potenzialità produttive ed economiche.
Le prime notizie sulla presenza di testimonianze archeologiche in questa zona risalgono all’Ottocento e precisamente al 1889, quando a seguito di lavori agricoli commissionati dalla Banca Romana, proprietaria all’epoca del terreno, vennero rinvenuti i primi reperti. Fu dato allora incarico all’ing. Riccardo Mancini di organizzare la prima campagna di scavo.
Le operazioni di ricerca si protrassero fino al Novembre 1890 e portarono alla luce vari ambienti e numerosi frammenti; purtroppo le modalità non proprio scientifiche delle indagini, come d’altronde era uso in quegli anni, non ci hanno lasciato alcuna indicazione sul loro rinvenimento. Il Mancini lasciò comunque una documentazione preziosa, ancora tutt’oggi sfruttata negli scavi in corso: una planimetria in scala 1:200, realizzata di sua mano con precisione quasi maniacale, sulla quale riportò natura e dimensioni dei vari ambienti.
Per quanto riguarda l’identificazione della destinazione d’uso del sito, che Mancini semplificava in un grande impianto termale, il primo a proporre l’ipotesi di uno scalo portuale fu Armando Ricci, ma il repentino abbandono delle attività di scavo ed il degrado delle strutture non permisero ulteriori ricerche.
Bisogna attendere il 1925 per veder rinascere l’interesse per Pagliano.
La Soprintendenza di Firenze, nella persona di Wenceslao Valentini, si preoccupò di ripulire l’area e riportare alla luce i resti archeologici. Nel 1957, l’ISAO (Istituto Storico Artistico Orvietano) e Cesare Morelli, eseguirono una nuova ricognizione dell’area e produssero la prima ed al momento unica pubblicazione su Pagliano.
La rinascita di Pagliano fu però breve: negli anni Sessanta, in pieno boom economico, la costruzione dell’Autostrada del Sole (che scorre a pochi chilometri di distanza dal sito) provocò una delle distruzioni peggiori: imponenti macchine per il movimento terra distrussero cortine, abbatterono murature, spianarono i dislivelli e collocarono sugli spazi così ottenuti le strutture del cantiere e gli alloggiamenti degli operai!
Finalmente, alla fine degli anni Novanta, una fortunata serie di circostanze permisero di riavviare le indagini archeologiche: la Scuola di Etruscologia e Archeologia dell’Italia Antica, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, promosse un Campo Scuola per giovani archeologi: la finalità era duplice, promuovere una metodologia di scavo scientifico, nonché l’importanza dello studio dei rinvenimenti ed allo stesso tempo portare avanti le indagini e le ricerche.
Giovedì 28 Gennaio 2010, al Museo Archeologico Nazionale di Orvieto, si è svolto il primo seminario di studi sul “Porto” romano di Pagliano. Per la prima volta, dopo quasi 10 anni dall’inizio delle indagini ad opera del Campo Scuola, sono stati presentati i risultati degli scavi e delle ricerche. Questa volta, accanto all’attività di scavo, sono state utilizzate metodologie nuove, come le prospezioni geofisiche, il rilevamento topografico con GPS, il rilievo geo-magnetico, il rilievo georadar. L’obbiettivo era fondamentalmente uno: verificare l’esistenza di alcune strutture individuate dal Mancini, ma attualmente non più visibili.
I risultati, presentati nel Seminario, sono stati confortanti: sono visibili anomalie riferibili a strutture archeologiche sepolte. Aspettano solo di essere indagate e studiate per ridare a Pagliano il valore e l’importanza che gli spettano.
Il sito archeologico di Pagliano, nei pressi di Orvieto (TR), si trova in una zona particolarmente interessante, alla confluenza del fiume Tevere con il fiume Paglia, una posizione quasi strategica, che, per parte del Tevere, lo mette in comunicazione con Roma ed il Lazio, per parte del Paglia, con tutta la zona interna del territorio degli Umbri. Le aree tutte intorno presentano testimonianze collocabili cronologicamente in un arco temporale vasto, dalla tarda età ellenistica alla piena età imperiale. Al centro di tutto questo si trova Pagliano: un’area intensamente abitata e con forti potenzialità produttive ed economiche.
Le prime notizie sulla presenza di testimonianze archeologiche in questa zona risalgono all’Ottocento e precisamente al 1889, quando a seguito di lavori agricoli commissionati dalla Banca Romana, proprietaria all’epoca del terreno, vennero rinvenuti i primi reperti. Fu dato allora incarico all’ing. Riccardo Mancini di organizzare la prima campagna di scavo.
Le operazioni di ricerca si protrassero fino al Novembre 1890 e portarono alla luce vari ambienti e numerosi frammenti; purtroppo le modalità non proprio scientifiche delle indagini, come d’altronde era uso in quegli anni, non ci hanno lasciato alcuna indicazione sul loro rinvenimento. Il Mancini lasciò comunque una documentazione preziosa, ancora tutt’oggi sfruttata negli scavi in corso: una planimetria in scala 1:200, realizzata di sua mano con precisione quasi maniacale, sulla quale riportò natura e dimensioni dei vari ambienti.
Per quanto riguarda l’identificazione della destinazione d’uso del sito, che Mancini semplificava in un grande impianto termale, il primo a proporre l’ipotesi di uno scalo portuale fu Armando Ricci, ma il repentino abbandono delle attività di scavo ed il degrado delle strutture non permisero ulteriori ricerche.
Bisogna attendere il 1925 per veder rinascere l’interesse per Pagliano.
La Soprintendenza di Firenze, nella persona di Wenceslao Valentini, si preoccupò di ripulire l’area e riportare alla luce i resti archeologici. Nel 1957, l’ISAO (Istituto Storico Artistico Orvietano) e Cesare Morelli, eseguirono una nuova ricognizione dell’area e produssero la prima ed al momento unica pubblicazione su Pagliano.
La rinascita di Pagliano fu però breve: negli anni Sessanta, in pieno boom economico, la costruzione dell’Autostrada del Sole (che scorre a pochi chilometri di distanza dal sito) provocò una delle distruzioni peggiori: imponenti macchine per il movimento terra distrussero cortine, abbatterono murature, spianarono i dislivelli e collocarono sugli spazi così ottenuti le strutture del cantiere e gli alloggiamenti degli operai!
Finalmente, alla fine degli anni Novanta, una fortunata serie di circostanze permisero di riavviare le indagini archeologiche: la Scuola di Etruscologia e Archeologia dell’Italia Antica, in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Umbria, promosse un Campo Scuola per giovani archeologi: la finalità era duplice, promuovere una metodologia di scavo scientifico, nonché l’importanza dello studio dei rinvenimenti ed allo stesso tempo portare avanti le indagini e le ricerche.
Giovedì 28 Gennaio 2010, al Museo Archeologico Nazionale di Orvieto, si è svolto il primo seminario di studi sul “Porto” romano di Pagliano. Per la prima volta, dopo quasi 10 anni dall’inizio delle indagini ad opera del Campo Scuola, sono stati presentati i risultati degli scavi e delle ricerche. Questa volta, accanto all’attività di scavo, sono state utilizzate metodologie nuove, come le prospezioni geofisiche, il rilevamento topografico con GPS, il rilievo geo-magnetico, il rilievo georadar. L’obbiettivo era fondamentalmente uno: verificare l’esistenza di alcune strutture individuate dal Mancini, ma attualmente non più visibili.
I risultati, presentati nel Seminario, sono stati confortanti: sono visibili anomalie riferibili a strutture archeologiche sepolte. Aspettano solo di essere indagate e studiate per ridare a Pagliano il valore e l’importanza che gli spettano.
Autore: Irene Cucchiarini