A luglio è apparsa la notizia del ritrovamento di un’antica tomba etrusca a Veio. Anche i pinerolesi l’avranno letta. Molti di loro però non sanno che nel XVIII secolo, a pochi chilometri da qui, sulla collina di San Martino di Busca, fu scoperta una lapide funeraria etrusca con un’iscrizione facilmente leggibile “Mi suthi larthial muthikus“, che si può datare al V sec. a.C.
Si tratta di un’epigrafe di particolare importanza, in quanto è attestata come l’unica sicuramente etrusca in Piemonte. A suo tempo fu tradotta “Io sono Laziale Motico”, mentre oggi si interpreta “Io (sono) la tomba di Larth Muthiku“.
Su chi fosse Mothico ci sono stati diversi pensieri. All’inizio del 1900 si scrisse che “costui deve essere stato un ricco etrusco, che nel territorio buschese avrà avuto villeggiatura”.
Il Lamboglia, negli anni ’30, elaborava che a Busca poteva esserci stata “una colonia o stazione etrusca, ivi fondata per motivi commerciali”, quindi nel 1967, sul catalogo della mostra “Arte e civiltà degli Etruschi“, tenutasi a Torino, si disse che “l‘iscrizione fu posta da un amico o parente del morto sulla tomba di un mercante etrusco“.
Valerio M. Manfredi scrive che l’epigrafe è “molto interessante, poichè non solo documenta la presenza di Etruschi in Piemonte, ma illustra l’acculturazione in senso etrusco di un celto-ligure che trasforma all’etrusca il suo nome. Un celto-ligure accolto in una comunità di Etruschi che gli attribuisce il prenome Larth e trascrive il suo nome originale nel gentilizio etruschizzato Muthiku. Si distingue così da altri Liguri, documentati in siti più meridionali, che hanno etruschizzato il loro nome senza adottare però la formula bimembre etrusca”.
Massimo Pittau fornisce una versione totalmente etrusca e lo traduce come “Muthicone“, scrivendo che si tratta di un “gentilizio maschile, da confrontare probabilmente con quelli latini Muticulius e Muticuleius“.
Io proporrei una spiegazione diversa, cioè che potrebbe trattarsi del sepolcro di una donna. Cominciamo con il prenome maschile “Larth“, il cui genitivo dovrebbe essere – ed è più volte attestato – “Larthal”, mentre “Larthial” (così è scritto sul reperto, con la lettera “i” prima delle finali “al”) dovrebbe essere – ed è più volte documentato – il genitivo del prenome femminile “Larthi” o “Larthia”.
Anche il Bonifante in altri casi analoghi, scrive che potrebbe trattarsi di una donna.
Passiamo al nome di famiglia. “Muthikus” è sicuramente un genitivo maschile, infatti se fosse un femminile (in etrusco gentilizi sono degli aggettivi e quindi hanno sia la forma maschile, sia la femminile) sarebbe presumibilmente “Muthikunia“, al genitivo “Muthikunias“.
Però potrebbe anche non essere un nome gentilizio (lo stesso Manfredi dice che la forma bimembre etrusca tra i Liguri è insolita), ma un semplice patronimico e quindi compatibile con il genitivo possessivo maschile del prenome “Muthiku“. Ne consegue che l’interpretazione dell’iscrizione potrebbe essere “Io (sono) la tomba di Larthia (figlia) di Muthiku“.
Non avrei sicuramente osato questa ipotesi se non avessi trovato, negli ultimi mesi, un altro elemento a favore. Esaminiamo la lapide, piuttosto rozza, detta anche “Cippo di Motico“.
Si tratta di un ciottolo fluviale, ora esposto al Museo di Antichità di Torino, di forma ovoidale, alto 90 cm. e largo 47. Sul cippo vi è un’iscrizione con caratteri di un alfabeto etrusco di tipo arcaico. La scrittura va da destra a sinistra, ed è incisa all’interno di una stretta cornice ricurva, a forma di “fascia”, che è singolarmente simile alle “fasce ad U rovesciate, di tipo chiuso” incise su diversi massi della Valcamonica, e non solo, descritte dal dott. Giuseppe Brunod (che è docente di arte rupestre all’Unitre di Pinerolo), come simboli con il possibile significato di fertilità e fecondità.
Dice anche Brunod che “la stele con presenza di U rovesciata o diritta possono includere stele femminili in cui la linea curva ad U viene poi integrata con un elemento maschile, cioè il pendaglio“.
Chi era dunque Mothico? Poteva essere stato sia un commerciante ligure a contatto con mercanti etruschi; sia una guida-scorta per i trafficanti etruschi che attraversavano i valichi delle valli Maira e Varaita, per raggiungere la valle del Rodano; sia un mercenario ligure che era stato reclutato dagli Etruschi (da cui aveva imparato la lingua e la scrittura), e che era, poi, tornato al suo paese, dove, con i premi d’ingaggio, aveva acquistato della terra e delle capre.
Forse Muthiku non era nemmeno il vero nome, ma un soprannome affibiatogli a causa di una ferita da guerra, infatti – stando al Pittau – potrebbe anche derivare dagli “aggettivi muticus e mutilus (mutilato, mozzo, monco) finora privi di etimologia”.
A Busca si era sposato, e aveva dato il nome Larthia, tipicamente etrusco, alla sua prima figlia.
Può perfino darsi che abbia inciso lui stesso quel cippo, sotto di cui aveva dovuto porematuramente seppellire le sue ceneri, facendo dire, in prima persona, alla fredda e bianca pietra “io sono la tomba di Larthia, figlia di Muthico”.
Si tratta di un’epigrafe di particolare importanza, in quanto è attestata come l’unica sicuramente etrusca in Piemonte. A suo tempo fu tradotta “Io sono Laziale Motico”, mentre oggi si interpreta “Io (sono) la tomba di Larth Muthiku“.
Su chi fosse Mothico ci sono stati diversi pensieri. All’inizio del 1900 si scrisse che “costui deve essere stato un ricco etrusco, che nel territorio buschese avrà avuto villeggiatura”.
Il Lamboglia, negli anni ’30, elaborava che a Busca poteva esserci stata “una colonia o stazione etrusca, ivi fondata per motivi commerciali”, quindi nel 1967, sul catalogo della mostra “Arte e civiltà degli Etruschi“, tenutasi a Torino, si disse che “l‘iscrizione fu posta da un amico o parente del morto sulla tomba di un mercante etrusco“.
Valerio M. Manfredi scrive che l’epigrafe è “molto interessante, poichè non solo documenta la presenza di Etruschi in Piemonte, ma illustra l’acculturazione in senso etrusco di un celto-ligure che trasforma all’etrusca il suo nome. Un celto-ligure accolto in una comunità di Etruschi che gli attribuisce il prenome Larth e trascrive il suo nome originale nel gentilizio etruschizzato Muthiku. Si distingue così da altri Liguri, documentati in siti più meridionali, che hanno etruschizzato il loro nome senza adottare però la formula bimembre etrusca”.
Massimo Pittau fornisce una versione totalmente etrusca e lo traduce come “Muthicone“, scrivendo che si tratta di un “gentilizio maschile, da confrontare probabilmente con quelli latini Muticulius e Muticuleius“.
Io proporrei una spiegazione diversa, cioè che potrebbe trattarsi del sepolcro di una donna. Cominciamo con il prenome maschile “Larth“, il cui genitivo dovrebbe essere – ed è più volte attestato – “Larthal”, mentre “Larthial” (così è scritto sul reperto, con la lettera “i” prima delle finali “al”) dovrebbe essere – ed è più volte documentato – il genitivo del prenome femminile “Larthi” o “Larthia”.
Anche il Bonifante in altri casi analoghi, scrive che potrebbe trattarsi di una donna.
Passiamo al nome di famiglia. “Muthikus” è sicuramente un genitivo maschile, infatti se fosse un femminile (in etrusco gentilizi sono degli aggettivi e quindi hanno sia la forma maschile, sia la femminile) sarebbe presumibilmente “Muthikunia“, al genitivo “Muthikunias“.
Però potrebbe anche non essere un nome gentilizio (lo stesso Manfredi dice che la forma bimembre etrusca tra i Liguri è insolita), ma un semplice patronimico e quindi compatibile con il genitivo possessivo maschile del prenome “Muthiku“. Ne consegue che l’interpretazione dell’iscrizione potrebbe essere “Io (sono) la tomba di Larthia (figlia) di Muthiku“.
Non avrei sicuramente osato questa ipotesi se non avessi trovato, negli ultimi mesi, un altro elemento a favore. Esaminiamo la lapide, piuttosto rozza, detta anche “Cippo di Motico“.
Si tratta di un ciottolo fluviale, ora esposto al Museo di Antichità di Torino, di forma ovoidale, alto 90 cm. e largo 47. Sul cippo vi è un’iscrizione con caratteri di un alfabeto etrusco di tipo arcaico. La scrittura va da destra a sinistra, ed è incisa all’interno di una stretta cornice ricurva, a forma di “fascia”, che è singolarmente simile alle “fasce ad U rovesciate, di tipo chiuso” incise su diversi massi della Valcamonica, e non solo, descritte dal dott. Giuseppe Brunod (che è docente di arte rupestre all’Unitre di Pinerolo), come simboli con il possibile significato di fertilità e fecondità.
Dice anche Brunod che “la stele con presenza di U rovesciata o diritta possono includere stele femminili in cui la linea curva ad U viene poi integrata con un elemento maschile, cioè il pendaglio“.
Chi era dunque Mothico? Poteva essere stato sia un commerciante ligure a contatto con mercanti etruschi; sia una guida-scorta per i trafficanti etruschi che attraversavano i valichi delle valli Maira e Varaita, per raggiungere la valle del Rodano; sia un mercenario ligure che era stato reclutato dagli Etruschi (da cui aveva imparato la lingua e la scrittura), e che era, poi, tornato al suo paese, dove, con i premi d’ingaggio, aveva acquistato della terra e delle capre.
Forse Muthiku non era nemmeno il vero nome, ma un soprannome affibiatogli a causa di una ferita da guerra, infatti – stando al Pittau – potrebbe anche derivare dagli “aggettivi muticus e mutilus (mutilato, mozzo, monco) finora privi di etimologia”.
A Busca si era sposato, e aveva dato il nome Larthia, tipicamente etrusco, alla sua prima figlia.
Può perfino darsi che abbia inciso lui stesso quel cippo, sotto di cui aveva dovuto porematuramente seppellire le sue ceneri, facendo dire, in prima persona, alla fredda e bianca pietra “io sono la tomba di Larthia, figlia di Muthico”.
Autore: Michele Tosco
Fonte: L’Eco del Chisone, 30 agosto 2006.