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Silvia CHIODI, Giovanni PETTINATO. Nella terra di Ur tra scavi, soldati e complotti.

UR
Leggi i nomi degli autori – Silvia Chiodi e Giovanni Pettinato – e, conoscendone i titoli accademici, ti immagini un bel tomo dove l’archeologia faccia la parte del leone. Poi, non tanto il titolo – La pietra nera e il guardiano di Ur – , quanto il sottotitolo (Intrighi nella città di Abram, Editrice San Raffaele, pagg. 233 , euro 16) ti mette una pulce nell’orecchio. Aperto il libro, non hai più dubbi.
Pagine di archeologia, certo, con il racconto di due clamorose «scoperte » nel corso di una missione nella zona di Nassirya, a sud dell’Iraq, tre anni fa. E cioè il ritrovamento nel sito di Ur di un’enorme pietra angolare di dolerite, probabilmente del tempio della Ziqurrat (sulla quale è incisa la frase «Ur-Nam-mu», «re di Ur, colui che il tempio di Nanna ha costruito»), e, soprattutto quello, nel sito di Eridu, di centinaia di tavole sumeriche con iscrizioni di carattere storico-lessicale, databili fra il 2700 e il 2100 a.C., forse portate in superficie per la deflagrazione di una bomba, tracce di una possibile biblioteca ancor celata nel tell.
Dunque un resoconto archeologico? Non solo. Perché quello che vi gira attorno ha a che fare con qualcosa d’inatteso: la giungla burocratica italiana e irachena, rivalità accademiche e accuse di filosaddamismo, questioni di sicurezza e programmi militari, manovre dei servizi segreti e affari del mercato clandestino, tempeste mediatiche e incidenti diplomatici, accuse di scavi illeciti o di furto di reperti: finendo per trasformare gli autori in una coppia di involontari Indiana Jones, al centro di un complotto non facile da capire. O meglio, comprensibile solo alla luce dell’ostinazione con cui i due portano avanti il progetto che sta alle origini delle loro fatiche degli ultimi anni: una ricognizione esaustiva fra i siti del territorio iracheno al fine di creare sul web – insieme agli studiosi iracheni – una sorta di museo virtuale: il «Virtual Iraq Museum».
Consentendo di conoscere a tutti le testimonianze sparse nella «Terra tra i due fiumi». Un progetto che, stando a queste pagine, ha subito prima benedizioni, poi diversi ostacoli, infine un esito ridotto, benché parte del programma ufficiale italiano di cooperazione umanitaria con l’Iraq , con il coinvolgimento del Ministero degli Esteri.
Chiodi e Pettinato ne danno conto nella loro ricostruzione ricca di dettagli anche sull’esperienza «mesopotamica» costellata di guai e privazioni, e forse – si lascia qui intuire – di mancati rapimenti e attentati falliti. Senza dimenticare quelli purtroppo arrivati al bersaglio, causa – ad esempio – della morte del maresciallo Franco Lattanzio che con altri carabinieri vigilava sull’attività dei due archeologi e di Mauro Mazzei nella missione a Nassiriya .Un’implicita conferma dell’impossibilità di una collaborazione italo-irachena? O c’è dell’altro? Difficile dare risposte certe.
Di sicuro invece, questo libro ha il merito di sollevare il velo su problemi reali che nemmeno convenzioni e protocolli internazionali hanno pienamente risolto. Insomma : come deve svolgersi la cooperazione fra militari e civili quando la posta in gioco è la tutela del patrimonio culturale in aree di guerra? E i rapporti culturali devono essere subalterni agli equilibri politici internazionali (o peggio ancora di casa nostra)? Un archeologo in missione a chi obbedisce? A quali informazioni ha diritto e, a sua volta, quali indicazioni può e deve dare? Problemi – questi ed altri – che attendono soluzioni precise.

Autore: Marco Roncalli

Fonte: Avvenire AV, 05/01/2010

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