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ITALIA. Archeologia in rovina. In principio fu il Vesuvio. Poi l’Italia distrusse Pompei ed Ercolano.

La politica italiana è malata di retorica. Destra e sinistra danno il peggio di sé soprattutto quando tirano in ballo i Beni culturali e il patrimonio artistico. Dobbiamo tutelarli, dicono. E va bene. Sono il nostro orgoglio. E va bene. Sono la testimonianza del nostro genio. E va bene. Ce li invidiano in tutto il mondo. E va bene. Sono la nostra ricchezza. E qui va un po’ meno bene, come vedremo con un esempio scelto fra mille: i siti archeologici di Pompei ed Ercolano.
C’è da chiedersi: ma i nostri onorevoli rappresentanti cosa intendono esattamente per “Bene culturale”?

La questione non è scontata. La risposta forse è questa: dicesi “Bene culturale” tutto ciò che può essere inaugurato dal ministro in carica a scopo propagandistico.
Il resto non merita neanche cinque minuti di tempo, figuriamoci dei soldi. Quindi biblioteche, archivi, musei e scavi vadano pure a farsi maledire. Quando c’è da tagliare, la forbice cade sempre lì. Alla cultura va lo 0,29 per cento delle risorse statali (cifra appena sufficiente per la gestione ordinaria). Dal 2000 al 2007 gli investimenti sono calati del 45 per cento. Non c’è male per un settore centrale, come lo ha definito il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel suo discorso di fine anno.
“Qui si tira a campare” potrebbe essere l’ipotetico motto dell’Italia. Riforme, sistema elettorale, conflitto d’interessi, magistratura, problemi assortiti e vari: i cambiamenti sono da sempre imminenti. Ma non arrivano mai. Un ritocco qua e là. E si va avanti come si riesce, fino a quando si riesce, contando sul rinomato genio italico.
Per questo parlare di scempio o sfacelo dei Beni culturali sarebbe esagerato. Le rovine vanno in rovina con la massima calma, tra uno sigaretta e una tazza di caffè, nella sciatteria generale.
In questi giorni sono arrivato a Pompei convinto di dover affrontare una lunga attesa davanti alla biglietteria. In fondo le scuole sono chiuse, molta gente è ancora in vacanza. E questo è uno dei più grandi siti archeologici del mondo. Invece non c’è quasi nessuno, a parte un nugolo di guide. Molte senza apposito cartellino, dunque non autorizzate. Assaltano il turista con la discrezione di uno spacciatore nel centro di Amsterdam: «Guida, speak english, guida, guida». Entro e poco dopo inizio un lento vagare per le strade della cittadina romana. Speranzoso mi dirigo verso i monumenti più noti ma almeno nella metà dei casi mi attende una delusione, sotto forma di cartello stradale (divieto d’accesso) o di catenaccio alla porta.
In giro non c’è traccia del personale. Quando finalmente incontro i custodi, che stanno allegramente chiacchierando, chiedo come mai siano così in pochi: «Con tutte le telecamere che abbiamo, teniamo sotto controllo la situazione senza difficoltà».

Sarà. In effetti Pompei non si presenta male. È pulita. Silenziosa. Il clima cupo e gelido le dona ulteriore fascino. Ma c’è poco da fare i romantici. Perché piano piano monta una solenne incazzatura. Indicazioni lacunose, per non dire inesistenti, costringono i turisti a giri senza capo né coda che terminano troppo spesso di fronte a un cancello invalicabile.

Il prosciutto fosforescente
È surreale. Poiché non siamo tantissimi ad aver comprato il biglietto, dopo qualche ora le facce degli altri randagi senza meta iniziano a essermi famigliari. Mi “coalizzo” momentaneamente con una coppia di Verona alla disperata ricerca della famosa Casa del Fauno. Nervosismo alle stelle.
La moglie viene zittita ogni volta che apre bocca: «Cerca di essere più precisa, non siamo in Vicolo di Mercurio ma in Via di Mercurio», fa lui. E ribadisce: «Per forza mi sono perso, non mi aiuti». Lei azzarda: «Perché non andiamo a vedere gli affreschi porno?». Lui la fulmina con uno sguardo carico d’odio. Ormai è chiaro, l’uomo preferirebbe essere in ufficio a lavorare.
Io intervengo: «Bisogna trovare un custode e chiedergli se è così gentile da aprirli per noi». Che è una maniera gentile di dire: ma cosa ti sei messa in testa, pazza, prima di incontrare un custode sarà già calato il sole. Dopo aver trovato il Fauno, ho bisogno di relax. Saluto i miei nuovi amici e vado al bar dove spendo 8 euro per una lattina di Coca e un panino con una fetta – una di prosciutto cotto, che brilla nell’incipiente oscurità causa alto tasso di polifosfati.

Vietato scattare, ma partono i flash
Poi vado a vedere il Lupanare, luogo rilassante per eccellenza fin dall’antichità. Bingo! È aperto. Fuori c’è un’avvertenza: vietato fotografare col flash per non deteriorare scritte e affreschi. Dentro è un flash continuo, gli scatti sembrano luci stroboscopiche di una discoteca. Penso: beh, adesso arrivano i custodi che avranno seguito la scena con le loro potenti telecamere. Invece non arriva nessuno.
Ma queste sono minuzie, dettagli. Pompei sconta la nostra innata incapacità di sfruttare il patrimonio artistico di cui disponiamo senza merito alcuno. All’estero i musei sono studiati per far passare un’intera giornata di divertimento ai visitatori, lieti di spendere e spandere. Ristoranti ottimi per tutte le tasche, negozi a tema capaci di accontentare il collezionista e il dilettante, l’adulto e il bambino.
Poi c’è il contorno, di solito un insieme di iniziative per rendere appetibile la visita anche a chi c’è già stato. Qui a Pompei non c’è nulla. Anche volendo mettere mano al portafoglio, è impossibile trovare qualcosa da acquistare. Abbiamo già detto del bar terrificante. Nella libreria si fatica a individuare un volume fotografico degno di essere sfogliato.
L’idea di quest’anno sarebbe un percorso per far vivere ai bambini una giornata da antico romano. È pubblicizzata in tutte le strade dei sito archeologico. Vado alla sede principale. È chiusa. Davanti al portone ci sono alcuni genitori inferociti con marmocchi delusi al seguito.
A proposito, se al marmocchio scappa forte la pipì sono guai: infatti nell’area ci sono sei bagni in tutto. Non rimane che infrattarsi in qualche angolo remoto sperando di non essere spiati dalle potenti telecamere dei custodi (si fa per dire).
Se Pompei non ride, Ercolano piange. La scena si ripete: molti, troppi edifici chiusi. Oltre il danno, la beffa. Sulle porte sprangate fanno capolino i termini degli appalti per la ristrutturazione. Apprendiamo così che quasi nel cento per cento dei casi i lavori avrebbero dovuto essere già terminati da un pezzo (marzo 2006 la scadenza più vicina a oggi). A Ercolano c’è un bagno solo.

Quindi la gente si arrangia come può.
E nelle antiche costruzioni più lontane dalla strada non è raro sentire un acre odore di urina. O imbattersi in fazzolettini dal contenuto sospetto. Anche il bar è chiuso. Per bere è necessario uscire e rientrare dall’area.
A Ercolano vanno di moda iscrizioni e graffiti. Moderni, però. Niente a che vedere con l’antico Impero romano.

I graffiti contemporanei
Le scolaresche hanno imbrattato le stanze più nascoste con soavi inviti alle compagne di classe un po’ bigotte e dichiarazioni d’amore. Che anche i custodi di Ercolano si affidino alle potenti telecamere di Pompei? Le somme le lasciamo tirare alla banca d’investimenti americana Merril Lynch: gli scavi di Pompei producono un indotto pari al 5 per cento dell’effettivo potenziale.
Ogni anno arrivano due milioni e mezzo di turisti, come alle Piramidi di Giza (la battuta è rubata a Luca Di Bella di “Storia in Rete”, autore di un articolo piuttosto documentato sullo stato dei siti!

Interrogazioni da ridere.
Eppure i posti letto disponibili sono poche migliaia distribuiti in poco più di 20 alberghi.
Non che aprirne uno sia facile: i vincoli sono spietati con chi intende rispettarli nella zona. Chi invece se ne frega dell’autorizzazione per così dire può agire indisturbato: in Comune sono depositate 4200 richieste di condono e 900 denunce per abuso edilizio.
L’incasso medio giornaliero è all’incirca di 55 mila euro (5 mila ingressi a 11 euro l’uno). Più o meno 20 milioni di euro all’anno. II lavoro non dovrebbe mancare. Invece, nella zona, la disoccupazione viaggia oltre il 20 per cento. Cifra a cui andrebbe sottratto il sommerso, in realtà così emerso da notarsi a ogni angolo di strada; non .solo i soliti parcheggiatori ma anche guide, ristoratori e baristi (che ti chiedono 50 centesimi per usufruire delia toilette). Il 16 ottobre 2007 la trasmissione Exit, condotta su La7 da Ilaria D’Amico, ha sollevato un polverone con un ottimo reportage.

Milioni di euro che nessuno usa
L’inviata Lisa Iotti ha fatto vedere il modo migliore per visitare Pompei: allungare qualche mancia per farsi aprire quel 70 per cento degli scavi negato a chi si “limita” a pagare l’ingresso. Ne è uscita una interrogazione parlamentare che ha qualcosa di tragicomico.
Dagli Atti parlamentari dello scorso 15 dicembre apprendiamo una notizia che ha dell’incredibile: «Attualmente, nelle casse della Sovrintendenza di Pompei risultano non impegnati e quindi non destinati a nessun intervento 52 milioni di euro, il corrispettivo di circa due anni di biglietteria».
Cosa se ne fanno? Li tengono sul conto corrente, come fosse la paghetta del papà. I soldi rischiano «di essere riassorbiti nel bilancio dello Stato come fondi non utilizzati», si legge ancora. Fin qui la tragedia. Adesso arriva il comico. Questa infatti non è una stranezza. È la normalità.
L’ex ministro dei Beni culturali Rocco Buttiglione, qualche tempo fa, aveva addirittura prelevato da quei fondo una discreta somma (30 milioni di euro) e l’aveva destinata ad altri interventi urgenti. (Forse non tutti, qualcuno maligna in Parlamento).
Fatto sta che risorse preziose vengono come al solito sciupate. Le rovine vadano pure in rovina. E che sia l’uomo italiano, con il suo impareggiabile genio, a completare l’opera di distinzione iniziata dal Vesuvio nel 79 dopo Cristo.


L’INTERROGAZIONE
Un’accurata inchiesta della trasmissione “Exit” di La7r condotta da Lisa lotti, ha mostrato come basti allungare una mancia alle guide per visitare il 70 per cento dei siti, normalmente interdetti ai visitatori. In seguito al reportage, è stata presentata una interrogazione parlamentare sulla situazione di Pompei. Gli atti del 15 dicembre hanno segnalato che, nelle casse della Sovrintendenza di Pompei, risultano non impegnati e quindi non destinati ad alcun intervento 52 milioni di euro, il corrispettivo di circa due anni di biglietteria. L’ex ministro dei Beni Culturali Rocco Buttiglione prelevò 30 milioni da quei fondi per destinarli ad interventi “più urgenti”

LE CIFRE
Dall’inchiesta di Exit è emerso che le regole per l’edilizia vengono rispettate da pochi: in Comune a Pompei sono depositate 4200 richieste di condono e 900 denunce per abuso edilizio. L’incasso medio giornaliero dei siti è all’incirca di 55 mila euro (5 mila ingressi a 11 euro l’uno). Più o meno 20 milioni di euro all’anno. Nella zona, nonostante la possibilità di lavoro, si registra una disoccupazione di oltre il 20 per cento. La banca d’investimenti americana Merril Lynch ha stimato che gli scavi di Pompei producono un indotto pari al 5 per cento dell’effettivo potenziale.

I FONDI
I fondi assegnati al Ministero dei Beni Culturali sono scesi (dal 2002 al 2007) dallo 0,35% allo 0,29% del bilancio statale.


Fonte: Libero 05/01/2008
Autore: Alessandro Gnocchi

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