Quando in Grecia s’è saputo dell’eccezionale mostra che al Quirinale esporrà per la prima volta in Europa, dal 18 dicembre, 67 capolavori archeologici clandestinamente scavati dal sottosuolo italiano, e restituiti da una mezza dozzina di musei e collezionisti americani e inglesi dove erano finiti tra il 1970 e il 2004, le autorità elleniche si sono offerte di accrescerne l’importanza, grazie ad uno straordinario “ospite d’onore”.
E così, hanno spedito uno splendido torso di Kore arcaica, alto 70 centimetri, scolpito nell’isola di Paros verso il 530 a.C., ceduto al Getty Museum nel 1993 per oltre tre milioni dollari da uno dei massimi mercanti al mondo, Robin Symes che possedeva la Maschera d’avorio e, tra l’altro, nel 1988 vende per 18 milioni di dollari la Venere di Morgantina. Perché quella Kore, il museo californiano l’ha restituita a marzo, con una ghirlanda macedone tutta d’oro, pagata oltre un milione di dollari, però ad un altro antiquario, Christoph Leon.
Al Quirinale, la scultura greca s’affiancherà a tanti altri reperti, spesso unici al mondo. Come la Kilix di Eufronio, il Cratere da Paestum con il Ratto di Europa di Asteas, e il Kantharos attico a figure rosse decorato con la maschera di Dioniso dal Pittore della Fonderia, e realizzato ancora da Eufronio ma come vasaio, già tornati dallo stesso museo californiano. O la statua di Vibia Sabina, marmo alto due metri, già al Museo di Boston; la Maschera d’avorio scavata da Pietro Casasanta presso Roma, e consegnata da Symes ai carabinieri perla Tutela del patrimonio artistico, anche se l’aveva pagata 10 milioni di dollari; o l’Oìnochoe di 28 secoli fa, finita al Museo di Princeton; un’anfora attica a figure rosse del Pittore di Berlino, 490 avanti Cristo, che era al Metropolitan di New York. O gli altri capolavori che sbarcano in questi giorni a Fiumicino: una Kylix attica a figure rosse (Zeus seduto davanti a un’ara, mentre Ganimede gli versa il vino), antica di 2.480 anni, opera del pittore Douris; e, sempre dal Getty, l’Askos a forma di anatra, con due figure femminili in volo, IV secolo a.C. In mostra ci sarà anche il fantastico Trapezophoros, tavola cerimoniale in marmo policromo del 300 a.C, che ritrae due grifoni mentre attaccano una cerva. Pezzo senza eguali, che il Getty ha acquistato da Symes a 7 milioni di dollari. Al Porto franco di Ginevra, nel deposito-archivio di Giacomo Medici (massimo mediatore dell'”arte perduta” nel Centro Italia: sequestrati 3.000 reperti e migliaia di foto, 58 pagine di verbale; lui, condannato in primo grado a 10 anni di carcere e 10 milioni di euro di provvisionale allo Stato per i danni al patrimonio artistico), c’era una serie di foto di questo pezzo appena scavato, avvolto in giornali nel bagagliaio di un’auto.
E il soprintendente archeologo di Roma, Angelo Bottini, ha individuato, tra le cessioni clandestine ora disperse, altri due oggetti del medesimo corredo funerario, scavato nella città della battaglia di Pirro, Ascoli Satriano.
In mostra giungerà, il 15 gennaio ancora dal Metropolitan, il celebre Cratere dì Eufronio con la Morte di Sarpedonte, tanto grande che contiene 45 litri: il primo reperto pagato un milione di dollari da un museo, nel 1972, a Robert Bob Hetch, mercante processato a Roma con Marion True, ex curator del Getty.
Probabilmente, all’apertura del 18 dicembre, ci sarà anche il ministro della Cultura greco: la «partecipazione simbolica» è per «ringraziare l’Italia» del «determinante» aiuto nel recupero della Kore e altre opere. Perché quella dei “predoni dell’arte perduta” (e ora, almeno in parte, anche ritornata) non è storia di piccolo conto; né recente; né limitata al nostro Paese. Anche se l’Italia ne è la più colpita. La prima opera restituita dal Getty è una kylix a figure rosse, realizzata verso il 490 in Etruria, firmato dal vasaio Eufronio e dal pittore Onesimos, con scene della Guerra di Troia; il museo californiano ne acquista i primi frammenti nel 1983, spiega Maurizio Pellegrini, con Daniela Rizzo consulente del Pm Paolo Ferri. Altri frammenti in anni successivi; l’ultimo, è pubblicato nel 1990.
E le foto le aveva Medici: forse per guadagnare di più, “tombaroli e trafficanti vendevano anche a rate. Restituito, integro e ormai restaurato, nel 1999.
Uno studio compiuto a Cambridge dimostra che le quattro grandi case d’aste internazionali, dal ’94 al ’97, vendono dal 76 all’89 per cento di reperti sprovvisti di origini credibili: quindi, derivanti da scavi clandestini. E di tre delle maggiori raccolte formatesi nel dopoguerra, dai loro cataloghi, rileva che solo il 4 per cento degli oggetti ha provenienze accertate.
II black market vale 500 milioni di dollari; oltre 100 mila le tombe violate, prevalentemente in Italia.
Agli atti del Pm Ferri, c’è il diario di un “tombarolo” preciso e famoso: Giuseppe Evangelisti, casa verso Bolsena. Dal 1997 al 2002, ogni settimana ha scavato in media una tomba, con almeno nove oggetti; 68 sepolture con 737 pezzi solo lui, e solo nel 2000. Vendeva ogni pezzo (in media) a poco più di 100 euro: sulla via dei grandi musei, lievitava almeno di 80 volte.
Il mercato è forse più redditizio perfino della droga: ha rischi assai minori.
Queste sono le dimensioni dello scandalo.
Gli oggetti in mostra al Quirinale costituiscono l’approdo di defatiganti “trattative bonarie” con musei e collezionisti americani e inglesi, concluse soprattutto dal vice-premier e ministro dei Beni culturali Francesco Rutelli. Ulteriori colloqui sono tuttora in corso con diversi altri musei, europei ma anche giapponesi. Torna a galla solo una parte dell’immenso “sommerso”: capolavori mai visti, che possono dare un’idea di quanto terribile sia stato il disastro dei “predatori dell’arte perduta”.
Arriva la Kore da Atene: perché anche la Grecia, purtroppo, ne sa qualcosa.
Fonte: Il Messaggero 07/12/2007
Autore: Fabio Isman