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ROMA. Paolucci: I miei Musei Vaticani.

Dalla direzione del Polo museale fiorentino a quella dei Musei Vaticani, Antonio Paolucci passa da una delle maggiori vette a un’altra, ancora maggiore, nel panorama della cultura mondiale.
«Sarebbe difficile tentare un paragone tra i due complessi museali – confida Paolucci – . Quello dei Musei Vaticani è non solo uno dei più antichi, ma uno dei massimi nel mondo. Considero un privilegio, come italiano, di essere stato nominato a dirigerlo: qualunque collega straniero ne sarebbe stato sommamente lusingato. I Musei Vaticani sono un luogo privilegiato, in cui si incontra la variegata complessità di tutta la vicenda umana, dalle collezioni archeologiche agli Etruschi, agli Egizi, a Caravaggio, alle grandi Basiliche romane… Un patrimonio immenso, sconfinato. Sono appena agli inizi di quest’avventura che mi porta a occuparmi come responsabile di un luogo che sinora ho conosciuto come visitatore e come studioso. Confido nella competenza e nel valore dello staff che mi affianca».

 La nomina di Antonio Paolucci ai Musei Vaticani è stata resa nota ieri. Già ministro dei Beni culturali, Paolucci sostituisce l’archeologo Francesco Buranelli, che è stato nominato segretario della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa e ispettore della Pontificia Commissione di Archeologia sacra.

Professor Paolucci, uno dei maggiori problemi dei Musei Vaticani è proprio la loro complessità: come aiutare il visitatore a orientarsi?
«Certo, se uno volesse esperire tutti i percorsi possibili in una sola volta non potrebbe che restarne frastornato, si passa dalle maschere della Polinesia a Bernini a Otto Dix. Millenni di preistoria e di storia sono tutti qui riassunti…».

Un altro problema è che spesso il visitatore punta alla Cappella Sistina e lì si ferma…
«Questo è uno degli aspetti dell’oscurantismo barbarico che caratterizzano la nostra epoca: l’attrazione fatale per il noto, ormai entrato nei circuiti massmediali e nel tam tam della moda, quasi che le Stanze di Raffaello o il Laocoonte fossero presenze secondarie. Ma quando si parla di turismo, si parla in buona parte di moda: il gusto varia col tempo…».

Il che non riguarda solo i Musei Vaticani…
«È un problema generale: occorrerebbe affrontare questa specie di ‘black-out’ culturale, che peraltro affligge anche persone mediamente istruite e che porta all’oblio dei soggetti, degli argomenti, dei fatti, in favore delle firme. Nelle opere d’arte noi vediamo raccontati elementi della narrazione biblica o delle tradizioni mitologiche, dagli Orazi e Curiazi alla storia di Leda e il cigno. Ma chi ricorda queste narrazioni? E chi ha sufficiente familiarità con le Scritture per identificare la storia di Rebecca al pozzo o comprendere la differenza che passa tra una Risurrezione, un’Ascensione e una Trasfigurazione? Il visitatore medio si sofferma a leggere il nome dell’autore ed è soddisfatto di aver visto un Poussin piuttosto che un Caravaggio, e tralascia il messaggio contenuto nel testo dell’opera. È un problema di educazione».

Ma i musei non dovrebbero, appunto, sopperire in questo, essere istituzioni di educazione permanente?
«I Musei Vaticani sono sorti proprio per questo scopo: educare il popolo, trasformare i plebei in ‘cives’. Ma a questa missione storica, oggi si sovrappone la tendenza alla culturaspettacolo. È un problema che occorre avere in mente e affrontare, per recuperare il senso originario del museo come luogo in cui la cultura diventa mediazione di identità, e anche ragione di orgoglio di appartenenza».

Tra le molteplici unicità che sono custodite nei Musei Vaticani c’è la Galleria della Carte Geografiche…
«È uno dei luoghi da me preferiti, al quale ho dedicato anche un recente volume. Vi si vede dispiegato, con impressionante accuratezza di dettaglio, tutto il territorio dove vigeva lo Stato Pontificio e, oltre a questo, il mondo in cui si estende la cura spirituale della Chiesa. Sono opere di grandissimo valore: purtroppo spesso viste di sfuggita…».

Le strutture fisiche dei musei riusciranno a regge il peso crescente dei milioni di visitatori?
«È un problema che è pesato sul mio predecessore e che è fonte di continua preoccupazione. Stiamo parlando di un flusso di oltre 4 milioni di visitatori l’anno. Le strutture per l’accoglienza sono state migliorate, ma hanno bisogno di continua attenzione».

Non è ipotizzabile che Internet sopperisca?
«No, qui entra in gioco un problema che sconfina nella mitologia dei nostri giorni. Tutti sanno che se si va al Louvre, della ‘Gioconda’ leonardesca si vede poco o nulla, e che per studiarla con attenzione è meglio consultare un buon libro. Ma chi giunge in Europa per il ‘grand tour’ dei nostri giorni ha bisogno di riferire che è stato sul posto, e che ha avuto un contatto visivo diretto con l’opera. Questo vale per il Louvre, per gli Uffizi, come per i Musei Vaticani.

Nel 1907 tutti i musei di Firenze furono visitati da un totale di 160 mila persone; oggi abbiamo quasi 6 milioni di presenze. Egoisticamente. Preferirei si fosse conservata la situazione di inizio ’900: ma è anche vero che, comunque, chi visita questi luoghi ne resta fortemente impressionato. E ha un’occasione in più per pensare. Per quanto l’afflusso di turisti possa essere pesante per il museo, la sua forza comunicativa si mantiene intatta. I musei sono sempre un’occasione di crescita».
«Dalla Cappella Sistina alle Stanze di Raffaello, è uno dei più grandi patrimoni culturali esistenti. Andrà ancor più valorizzato, senza cedere alla cultura-spettacolo».


Fonte: Avvenire 05/12/2007
Autore: Leonardo Servadio

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