Archivi

GHAZNI (Afghanistan). Il coraggio del capo cantiere.

Si credevano distrutti dai talebani o rubati, i tesori archeologici di Ghazni. Sono ricomparsi dietro un cumulo di rifiuti creato per nascondere la porta dei magazzini del museo della città.
Il segreto è durato più di vent’anni, protetto da un afghano che per questo ha rischiato la vita. Si chiama Ghulam Rajabi Naqshband.
Nel 1979, alla vigilia dell’invasione sovietica, aveva fatto sparire migliaia di reperti preistorici, buddhisti, islamici, scavati a partire dal 1957 prima da Giuseppe Tucci e poi dalle altre missioni italiane dell’Ismeo (Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente) guidate dagli archeologi Alessio Bombaci, Umberto Scerrato, Dinu Adamesteanu, Salvatore Pugliesi, Maurizio Taddei.
Nel 2003, sconfitti i talebani è tornata in Afghanistan la Missione Archeologica Italiana, diretta ora da Anna Filigenzi dell’IsIAO (Istituto italiano per l’Africa e l’Oriente, ex Ismeo). «Si è salvato quasi tutto» racconta. «Oggi Naqshband è il nostro capo cantiere, il punto di riferimento a Ghazni della Missione, un uomo straordinario che lavora ancora senza fondi e un piccolo stipendio. Non possiamo pagarlo di più: la missione ha un budget per il 2007 di 8mila euro, che bastano appena per le nostre trasferte a Kabul».
Mille anni fa Ghazni, 140 km a sud di Kabul, fu capitale dei sultani della dinastia Ghaznavide, padroni di un impero che arrivava fino al cuore dell’India. Una mostra piccola ma importante per il suo significato, si è aperta a Kabul il 2 giugno nella sede dell’Ambasciata d’Italia e poi trasferita all’Università. Ricorda i cinquant’anni di storia della Missione Archeologica Italiana in Afghanistan attraverso una serie di fotografie dei luoghi, dei protagonisti, degli oggetti straordinari scavati nei dintorni di Ghazni: capolavori conosciuti finora soltanto da pochi specialisti.
Da mesi Ghazni è zona pericolosa, isolata. Eppure si tenta di tenere in piedi i progetti con i collaboratori afghani della missione archeologica, guidati da lontano da Anna Filigenzi e Giuseppe Morganti, l’architetto della Soprintendenza romana che cura il restauro del Museo di Ghazni con fondi Unesco concessi dall’Italia.

«Dobbiamo raggiungere Ghazni appena possibile, per coordinare il lavoro sul posto», spera la Filigenzi.

«Molti oggetti sono già a Kabul, per motivi di sicurezza, ma dovremo portarne altri per il restauro».


L’articolo integrale è disponibile nell’edizione stampata de “Il Giornale dell’Arte”.


Fonte: Il Giornale dell’Arte 01/07/2007
Autore: Edek Osser
Cronologia: Arch. Partico-Sasanide

Segnala la tua notizia