Storia degli scavi
Lungo la via Aurelia sono da poco tornati alla luce i resti di un enorme complesso produttivo legato al commercio del vino con la Gallia. Nei pressi della foce del fiume Albegna, tra la sponda sinistra del fiume e l’abitato attuale di Albinia (provincia di Grosseto), da 6 anni sono portate avanti le ricerche che hanno permesso di individuare un impianto “industriale” di età romana destinato soprattutto alla cottura delle anfore. Già nel 1977 lo studioso britannico David P.S. Peacock aveva ipotizzato la presenza di alcune fornaci per anfore: una vasta chiazza circolare rossastra era stata individuata nel campo ad ovest dell’Aurelia. Numerosi frammenti fittili, continuamente sollevati dall’aratro, emergevano dal terreno. Furono svolte continue ricognizioni archeologiche ed intraprese poi operazioni di scavo.
Le fornaci
Con l’avvio delle ricerche sul campo nel 2000, sono state individuate le parti superiori di due fornaci a pianta rettangolare. Oggi risultano messe in luce ben dodici fornaci, alcune centinaia di anfore, numerosissimi frammenti fittili e quasi 2000 mq di strutture archeologiche. La datazione riguarda un periodo compreso tra gli ultimi decenni del II sec. a.C. e la seconda metà del I sec. d.C.
Un’imponente struttura in blocchi di calcare legati con la malta e rinforzata all’esterno con l’uso dei contrafforti, ingloba i resti di due batterie simmetriche di fornaci parallele. Le fornaci prevedono un corridoio centrale e sviluppo in verticale: la camera di combustione è separata da quella di cottura sovrastante per mezzo di un piano forato, dove era collocato il materiale da cuocere. L’alzato delle fornaci raggiungeva i 4 m fuori terra. La lunghezza era di circa 8 m e la larghezza di 3,5m m. La superficie utile della camera di cottura era di circa 20 mq; il piano forato poteva accogliere ben 150 anfore disposte in quattro strati sovrapposti, per un totale di circa 600 anfore infornate. Il complesso di Albinia quindi poteva raggiungere la cottura di ben 3000 anfore per volta. Considerando che la capacità di un’anfore albiniese è di circa 30 litri, il contenuto di una partita di anfore uscita dalla cottura era pari ad un volume di 900 ettolitri circa.
Non tutto il materiale infornato usciva perfettamente e molti scarti erano utilizzati come materiale di drenaggio per rendere asciutti i terreni limitrofi. Le anfore erano poste orizzontalmente innestate le une nelle altre in file che raggiungevano anche i 30 m di lunghezza.
Sopra le quattro fornaci più antiche ne sono state costruite altre quattro con le medesime funzioni. Successivamente ne fu realizzata anche una più piccola per cuocere vasellame di piccole dimensioni.
Da zona produttiva a zona residenziale
L’intero complesso fu poi demolito e livellato. Prese piede la fabbricazione di vasellame tramite l’uso di fornaci più piccole, con camere di circa 3 mq. Un grande vano, delimitato da muri di pietra e malta, è stato rinvenuto durante l’ampliamento dello scavo verso la via Aurelia. E’ stato interpretato come un vano per la decantazione dell’argilla. Esso fu usato quando le fornaci erano ancora in attività e venne poi chiuso assieme ad esse.
Due serie di basi di pilastro quadrate, simmetriche tra loro, sono state rinvenute all’esterno del complesso delle fornaci. Il loro utilizzo è legato a strutture coperte, simili a tettoie, poste a protezione di grandi spazi aperti necessari per la modellazione delle anfore, la loro essiccazione e lo stoccaggio.
Talvolta sulle anfore o le tegole era impresso un punzone rettangolare, quadrato o ellittico, contenente segni alfabetici o simboli. La timbratura dei prodotti, quindi, ci consente di conoscere alcuni personaggi riconducibili alla produzione.
Autore: Stefano Ferruzzi
Cronologia: Arch. Romana
Link: http://www.archeoweb.it/archeologia/toscana.html