Scavi e scoperte a Trezzo (MI)
Posta tra Bergamo e Milano,al confine del fiume Adda, che qui descrive un’ansa, è attestata fin dal IV sec.a.C. la cittadella di Trezzo, abitata dai Celti, che le avrebbero conferito il nome “tracc“, cioè ‘passaggio’ (infatti costituiva una posizione strategica). Con la presenza Romana (intorno al III-II secolo a.C. nella Pianura Padana), la denominazione del luogo divenne Tritium. Fu capopieve nel VII secolo d.C. ed avamposto dei Milanesi tra l’XI e il XVI sec. In epoca medievale aveva quattro porte (di cui ne resta solo una, quella di Santa Maria) e molti ponti, poi tutti distrutti per questioni strategiche, e fino alla fine del 1800 il collegamento con la sponda bergamasca dell’Adda si svolgeva attraverso i traghetti.
Oggi è una cittadina industriosa che ha conosciuto un crescente sviluppo urbano.
Venendo dalla sponda bergamasca, si transita sopra il ponte di ferro, dal quale si vedono bene i resti della Torre del Castello di Trezzo e i ruderi a strapiombo sul fiume. Il ponte è un’ ardita opera delle Officine Savigliano (che eseguirono anche il grandioso ponte di Paderno d’Adda) e serve alla ordinaria strada carrozzabile che allaccia Bergamo a Milano.
Dell’epoca romana, a Trezzo rimangono poche tracce, ma del periodo successivo, quello Longobardo, Trezzo ha rivelato dei tesori straordinari e forse ancora troppo poco conosciuti. Recandomi –la scorsa estate- a visitare il Castello Visconteo, che leggenda vuole essere stato eretto sui resti della precedente Rocca della Regina Longobarda Teodolinda, ho avuto la possibilità di accedere ad una Trezzo ben più antica:quella Longobarda. In una costruzione all’interno del parco del castello, infatti, è stato allestito in anni recenti un esiguo museo che, ad opera di volenterosi e della Proloco, si propone di divulgare gli importantissimi ritrovamenti che-a partire dagli anni ’70 – sono stati fatti a Trezzo. E’possibile visitare la sola tomba nel piccolo museo, oppure usufruire di un biglietto cumulativo che permette la visita alla tomba longobarda e all’itinerario guidato nel Castello, compresi i sotterranei e la Torre (percorso consigliato).
Tombe di altissimi dignitari longobardi: perché qui?
Le due campagne di scavo fino ad oggi effettuate si sono svolte dal settembre 1976 al marzo 1978, la prima (che ha portato al recupero di cinque tombe di alti funzionari) e nei primi anni ’90 la seconda (in cui sono state scoperte una ventina di altre tombe, più ‘povere’).
Secondo gli studiosi, le uniche notizie storiche di questo periodo che riguardano Trezzo d’Adda, sono contenute nella ‘Historia Longobardorum‘ di Paolo Diacono, il quale ci tramanda una battaglia combattuta nell’anno 698 tra Cuniperto ed Alachi in località ‘Coronate’, situata a pochi chilometri dall’attuale cittadina di Trezzo. Come mai, allora, qui ci sarebbe una intera necropoli longobarda? Ma non solo: le cinque tombe di alti dignitari attesterebbero la presenza nella zona del clan regale longobardo, cosa che giungerebbe inaspettata, per i motivi appena esposti. Inoltre, è possibile che le tombe possano essere state molte di più e che nel corso dei secoli siano andate distrutte, anche perché questa zona è sempre stata ricca di cave di argilla anche in un lontano passato. Il fatto che non si siano trovate altre tombe, non esclude che potessero esservi, anche perché la cosa singolare è che questa piccola necropoli è esclusivamente maschile (forse membri legati da vincoli di parentela?). Furono condotti altri scavi, in aree limitrofe, ma non portarono alla luce altri reperti. Le tombe, pertanto, pongono più interrogativi che risposte, almeno per adesso.
I reperti a corredo
La cosa che apparve subito certa fu che i defunti erano sicuramente stati personaggi di altissimo rango, nobili e funzionari reali, denominati gastaldi che amministravano le terre e attorno a cui ruotava in sostanza la delega della gestione Longobarda in Italia.. Che fossero dei personaggi di spicco, lo si è dedotto dai molti elementi a corredo delle loro tombe, che contenevano croci d’oro di particolare bellezza e fattura, le cinture ageminate, il puntale reliquiario (uno dei pochi ritrovati in Italia), brandelli di tessuto con i bordi in broccato d’oro, le spade damasciate, gli scramasax (specie di daga) con le decorazioni del fodero, armi da difesa e da offesa quindi; gli speroni in ferro placcati in argento, riccamente decorati (l’inserzione di ‘alamandine‘ in bronzo negli stessi è infatti un caso rarissimo– se non unico, a detta degli studiosi). Nei manufatti si riscontra la presenza, nella parte terminale, di un Nodo di Salomone e una croce ‘distesa’ (analoga al simbolo dell’infinito): i medesimi simboli sono presenti nella parte controlaterale del reperto. Esso era molto frequente nell’arte longobarda e in questo ambito potrebbe assumere una valenza magica. E’ stato ritrovato un anello-sigillo con gemma (corniola di colore rosso) incastonata con inciso un granchio. Il simbolo, chiaramente ricollegabile al segno zodiacale del Cancro, era stato inciso in profondità nella corniola, in maniera che restasse impresso come sigillo. Ma perchè?
I reperti più importanti sono rappresentati da tre anelli in oro massiccio di cui due nominali o anelli-sigillo in oro fuso, rinvenuti nella tomba n. 2 e n. 4. Entrambi portano l’effigie di un uomo barbuto con i capelli divisi da una scriminatura centrale ma nel primo sigillo il personaggio è circondato dalla scritta RODC HIS VIL (tradotto come Rodchis vir illustrer), preceduta da una croce, mentre il secondo il personaggio del secondo anello è contornato dalla scritta ANSV ALDO, a rovescio. All’esterno, una perlinatura. ANSV ALDO è da identificarsi probabilmente con il notaio del re ROTARI.
Le cose che mi colpiscono in questo anello (di Rodchis) sono svariate: particolare interessante sono i capelli, che sembrano essere trattenuti, nel mezzo, da un fermaglio cui è appesa una figura geometrica triangolare (e sembra quasi che il personaggio indossi una ‘calotta’ sul capo, l’insieme conferisce l’aspetto di ‘posarsi’ sul resto del viso); anche il volto è geometrico; le orecchie e i globi oculari molto vistosi. La veste che si può vedere indosso all’uomo è accuratamente lavorata e ha perfino un polsino con un bottoncino ben osservabile alla manica sinistra; le due dita della stessa mano sono in una curiosa posizione (‘benedicente’ come nell’iconografia cristiana). Questi anelli sono reperti rarissimi per l’epoca: in Italia ne sono stati ritrovati 7 in totale, di cui ben TRE nella sola TREZZO d’Adda! La montatura, dicono gli esperti, è tipica del periodo longobardo: ”E’ formata da una verga che è affiancata da due piccoli globi per parte, all’attaccatura del castone, che reca inciso il personaggio, forse un re longobardo, la cui incerta caratterizzazione fisionomica è comune alle raffigurazioni che compaiono sulle monete bizantine del tempo. Le scritte attorno si riferiscono invece ai possessori degli anelli-sigillo, funzionari che siglavano documenti di notevole importanza politica e sociale, con il loro nome e l’effigie del re. Questi ‘signori degli anelli’, appartenevano dunque alla classe dirigente del Regno longobardo, legata al sovrano da vincoli particolarmente stretti”.
Il museo
Nei locali che ospitano il piccolo museo, che come abbiamo detto in precedenza è allestito all’interno del parco del Castello Visconteo di Trezzo, sono esposti vari pannelli illustrativi che mostrano, seguendo un andamento cronologico, le vari fasi delle scoperte. I primi ritrovamenti risalenti agli anni ’70, furono accidentali, durante lavori edili per la costruzione di un condominio.
Sembra che, che una volta espletati i rilevamenti di rito da parte della Soprintendenza ai Beni Archeologici, che fermò i lavori ovviamente, e portati i reperti al sicuro, i lavori poi continuarono e venne ricoperto il tutto. Comunque,dai sopralluoghi e relative indagini, vennero alla luce le cinque tombe tutte maschili, con bara lignea databili al VII secolo d.C., disposte in due file parallele e tutte indistintamente orientate in direzione est-ovest, così costituite: lateralmente chiuse da pesanti lastre di serizzo e nella parte superiore (cioè come chiusura) tutte -ad esclusione della prima che è in mattoni- costituite da lastroni di pietra irregolari ricavate da più antichi sarcofagi romani e in alcuni casi (tombe n.2 e 5) rivestite da pietre e frammenti di tegole.
Uno dei coperchi delle cinque tombe, è visibile all’interno del parco del Castello Visconteo. Nel piccolo complesso museale si possono vedere inoltre la ricostruzione di una delle tombe, pannelli illustranti le Tecniche di lavorazione dei metalli utilizzate dai Longobardi, vetrinette in cui spiccano riproduzioni dei manufatti e croci in lamina d’oro con motivi a sbalzo intrecciati ritrovate nelle tombe degli alti dignitari longobardi. Gli originali sono conservati presso il Museo Archeologico di Milano.
La tomba del gigante Rodchis
In una delle vetrine delle sale del museo, si può notare la disposizione dello scheletro nella tomba n.2, del tutto singolare poiché le gambe sembra fossero state piegate, per farlo stare nella lunghezza del sarcofago. Dalle analisi antropometriche, si è dedotto che quest’uomo, Rodchis, vir illustris, dovesse avere un’altezza di oltre due metri. Il sarcofago infatti sarebbe stato lungo circa due metri e quaranta e se il defunto fu posto all’interno con le gambe piegate…Si sa poco riguardo a questo fatto.
I reperti ritrovati in loco sono custoditi presso il Museo Archeologico di Milano ma -a detta della guida che ha accompagnato la nostra visita- i reperti scheletrici/ossei non sono visibili al pubblico.
Info:
Su come arrivare, sugli orari di apertura del Castello Visconteo e le visite guidate per la prossima stagione primavera-estate 2006 e altre notizie, si può consultare il loro sito web: http://www.prolocotrezzo.com
Autore: Marisa Uberti
Cronologia: Arch. Medievale
Link: http://www.prolocotrezzo.com