Studio su 300 manufatti litici dell’alessandrino in mostra a Brignano Frascata.
Verso la fine del VI-V millennio a.C. l’uomo, fino ad allora nomade e cacciatore, cominciò a insediarsi stabilmente in aree pianeggianti e fertili, dedicandosi ad attività stanziali cole l’agricoltura e la pastorizia. L’evento, chiamato “rivoluzione neolitica”, fu una tappa fondamentale per la civiltà umana e comportò, dal punto di vista tecnologico, un rapido sviluppo dell’industria ceramica e litica. Quest’ultima, in particolare, vide il passaggio dalla pietra scheggiata (selce o ossidiana) alla pietra levigata, più consona alle sopravvenute esigenze di deforestazione e lavorazione della terra e del legno. Nuove tecniche di scheggiatura, bocciardatura (prolungata martellatura della superficie con un percussore) e levigatura furono adottate per la lavorazione di utensili, principalmente asce e scalpelli, ma anche oggetti ornamentali, quali collane e anelloni.
Nei numerosi insediamenti neolitici della nostra penisola, i materiali litici utilizzati variarono in relazione alle disponibilità offerte dalla geologia regionale. Nel Mezzogiorno e nel Nord-Est furono utilizzate rocce a grama fine di origine vulcanica (prevalentemente basalti ed andesiti), mentre nella pianura padana a ridosso delle Alpi Occidentali i nostri antenati disposero di “materia prima” tecnologicamente superiore: le pietre verdi alpine.
Sono rocce molto compatte, ad elevata densità e tenacità, dal caratteristico colore verde più o meno carico. Dal punto di vista geologico comprendono una ristretta varietà di litotipi, quali le “giade” (giadeititi ed onfacititi), le eclogiti (rocce ad onfacite e granato) e le serpentiniti. L’abbondanza di giade portò i primi archeologi a ipotizzare una provenienza esotica: analoghi materiali erano noti nella cultura Maya e in quella cinese, ma sconosciuti nel contesto geologico regionale europeo. L’origine alpina di queste rocce fu supposta verso la fine del 1800 da Bartolomeo Gastaldi, famoso pioniere della preistoria italiana, e confermata agli albori del 1900 dal celebre geologo Secondo Franchi.
Lo studio sistematico dei manufatti preistorici in pietra verde alpina costituisce l’oggetto di un progetto di ricerca svolto in collaborazione tra il Dipartimento di Scienze Mineralogiche e Metrologiche dell’Università degli Studi di Torino e la Soprintendenza Archeologica del Piemonte. La caratterizzazione di oltre 300 manufatti litici rinvenuti in diversi siti neolitici dell’alessandrino costituisce il tema portante di una mostra, organizzata col il patrocinio della Provincia di Alessandria. Il ricorso alle più moderne metodologie archeometriche, che abbinano tecniche archeologiche e minero-petrografiche, ha confermato che questi reperti derivano da rocce della Zona Piemontese, nelle Alpi Occidentali, un tempo affioranti sul fondo della Tetide, l’antico oceano formatosi circa 200 milioni di anni fa che divideva il continente africano dalle terre europee già emerse. Queste rocce, note ai geologi come ofioliti, sono caratterizzate da metamorfismo di alta pressione in facies eclogitica. L’analisi dei manufatti neolitici ritrovati in siti dell’Europa centro-meridionale ha dimostrato che il numero delle rocce sicuramente riferibili alla Zona Piemontese diminuisce man mano che ci si allontana dalle Alpi Occidentali.
Studi petrografici comparativi tra i reperti archeologici ed analoghi campioni geologici hanno evidenziato una serie di differenze minori ma significative. Queste potrebbero rivelarsi di fondamentale importanza per consentire la localizzazione ancora più precisa dell’area di provenienza dei manufatti, attualmente ostacolata dalla carenza di informazioni geologico-petrografiche su analoghi materiali in giacitura primaria.
Gli affioramenti di pietre verdi alpine sono molto rari, distribuiti in modo imprevedibile e particolarmente difficili da individuare senza una ricerca mirata di dettaglio. Fino ad oggi sono stati segnalati pochi giacimenti primari di eclogiti a grama fine nel massiccio del Monviso e uno solo di giada. Opinione diffusa tra gli archeologi è che i nostri progenitori raccogliessero queste rocce in prossimità dei corsi d’acqua, selezionandoli tra i ciottoli fluviali dei conglomerati oligocenici e quaternari derivati dallo smantellamento degli affioramenti in giacitura primaria. Il processo erosivo ed il trasporto – glaciale o fluviale – provocano infatti una selezione ed arricchimento delle rocce più resistenti e meno alterabili, quali appunto giade ed eclogiti. Ciò spiegherebbe l’abbondanza di questi litotipi nei reperti neolitici e l’attuale scarsità di rocce similari negli affioramenti primari.
La localizzazione delle aree di provenienza dei reperti – e quindi l’individuazione certa delle fondi di approvvigionamento – permetterà agli archeologi di ricostruire anche i principali spostamenti delle civiltà preistoriche dell’Europa meridionale e centrale. In virtù del loro significato simbolico, questi manufatti venivano spesso utilizzati come merce di scambio: asce neolitiche in pietra verde sono state ritrovate in tutta l’Europa centrale e addirittura in Gran Bretagna.
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Fonte: La Stampa – Tuttoscienze 14/04/04
Autore: Roberto Giustetto
Cronologia: Preistoria