Circa 120 monete di varie dimensioni, databili fra il II e il V secolo dopo Cristo – alcune, in particolare, in ottimo stato di conservazione –, resti di anfore di fattura africana, realizzate tra la fine del IV e il VI secolo ed utilizzate sia per il trasporto del garum, la salsa a base di pesce che rappresentava un elemento cardine dell’alimentazione dei romani, sia per conservare l’olio, e ancora tessere musive bianche, grigie e in pasta vitrea, un laterizio bollato, un peso di dieci libbre e, soprattutto, importanti scoperte di natura strutturale: la campagna archeologica che un’équipe di studiosi e ricercatori dell’Università di Padova (coordinata dal professor Jacopo Bonetto) sta effettuando ad Aquileia, nei Fondi ex Cossar, ha rivelato sorprese affascinanti per un pubblico di non addetti ai lavori, addirittura «straordinarie» per il mondo degli accademici.
Si scava dal mese di maggio e si proseguirà fino al 18 luglio, per gettare nuova luce su un contesto già esplorato – a partire dalla fine dell’Ottocento e soprattutto negli anni Cinquanta del secolo scorso, con l’opera dell’archeologo Giovanni Battista Brusin – ma non completamente, senza contare il fatto che per alcune azioni di indagine compiute in passato si è manifestata la necessità di una rilettura alla luce dei criteri dell’archeologia contemporanea.
Il reperto di maggiore interesse, dal punto di vista storico, consiste nella base di una struttura a foglia d’edera nella grande domus detta della pesca, così chiamata dai mosaici che ne decoravano i pavimenti: si trattava, quasi certamente, di una fontana interna al giardino, posizionata esattamente in asse con la soglia del vano principale dell’abitazione.
Ma c’è altro: è stata sondata con cura certosina l’area della strada romana messa in luce dal Brusin. Gli universitari di Padova hanno distinto il selciato originario dalla ricostruzione compiuta dagli archeologi del tempo e, andando in profondità, hanno individuato i vari strati di materiali (ghiaia, macerie, argille e limi) utilizzati dai romani per la costruzione del tracciato viario: è la prima volta che un’operazione del genere viene compiuta ad Aquileia e i risultati sono significativi, attestando l’uso di tecniche accurate e sapienti anche per la realizzazione di un’arteria secondaria della città.
Di grande rilievo è pure il rinvenimento di una fistula plumbea che costituiva la diramazione dell’acquedotto cittadino.
Il ritrovamento di tantissimi cocci di terracotta e, appunto, delle monete fornisce, da parte sua, la prova del fatto che la zona vicino al porto fluviale era ricca di attività commerciali.
E torniamo all’area delle grandi case dei Fondi ex Cossar, le domus: gli studiosi dell’ateneo veneto hanno distinto le strutture portanti dalle larghe fosse di spoglio dove si gettavano i materiali di riporto derivati dall’azione dei cacciatori di pietra medievali. Sono state proprio tali fosse a restituire i citati resti di anfore, un’infinità di frammenti di vasellame, le monete, pesi di un commerciante aquileiese (Tito Macro), laterizi, pezzi di mattoni. Il lavoro prosegue, dunque, con l’obiettivo di ricostruire con precisione – avvalendosi del preziosissimo supporto rappresentato dall’imponente documentazione fotografica realizzata da Giovanni Battista Brusin, e conservata nel Museo nazionale di Aquileia – il tessuto urbanistico del sito, identificando gradualmente le varie fasi di ristrutturazione della domus della pesca.
Numerose, al riguardo, le ipotesi, o meglio gli interrogativi.
Fra le tante domande (che includono quella sui corridoi attorno alla stanza centrale, peristilio o criptoportico?), però, qualche risposta c’è già: è certo, ad esempio, che esisteva uno strato inferiore a quello coperto dal mosaico che oggi si conserva sotto una palafitta; molto probabilmente, inoltre, il giardino – nel suo periodo di maggiore utilizzo – era recintato da un muro.
Fonte: Messaggero Veneto 20/06/2009
Autore: Lucia Aviani
Cronologia: Arch. Romana